Rifiuti/ Cerroni, il “re delle discariche”
che blocca la svolta rifiuti

Manlio Cerroni
di Davide Desario
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Venerdì 15 Marzo 2013, 10:26 - Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio, 15:25

ROMA - Lo conoscono tutti come il “re dell’immondizia”. Nella recente inchiesta della Procura di Roma sulla gestione dei rifiuti della Capitale c’ chi lo ha ribattezzato il Supremo. Da quarant’anni detta legge sullo smaltimento a Roma. E ora, che qualcuno sta provando a scalzarlo, ha affilato le armi. É pronto a tutto purché venga realizzata una nuova discarica a Monti dell’Ortaccio anziché permettere il doveroso aumento della raccolta differenziata e l’avvio di un ciclo virtuoso del trattamento.

IL PERSONAGGIO

Si chiama Manlio Cerroni ha 87 anni, originario di Pisoniano (un paesino di 700 anime sui Monti Prenestini di cui è stato anche sindaco democristiano). È il patron del Co.La.Ri, il Consorzio Laziale Rifiuti che gestisce da oltre trent’anni la discarica più grande d’Europa (250 ettari), quella di Malagrotta alla periferia Ovest della Capitale dove finisce tutta l’immondizia di Roma, Ciampino, Fiumicino e della Città del Vaticano. Con i rifiuti e le discariche ci è diventato ricco. Anche grazie al benestare di quasi tutti i politici che si sono alternati in Campidoglio e Regione. In particolar modo l’area del centrosinistra. Un nome su tutti l’ex assessore comunale alla Mobilità e poi amministratore delegato dell’Ama, Mario Di Carlo (scomparso recentemente). «Per me è come un figlio» diceva di lui Cerroni. E negli anni successivi il presidente della Regione Piero Marrazzo riuscì nell’impresa di assegnare proprio a Di Carlo la delega ai rifiuti. Altro fedelissimo di Cerroni è Bruno Landi, presidente della Regione Lazio negli anni Ottanta e ancora oggi influente in certi salotti della Capitale. Ma alla fine, silenziosamente, più meno tutti hanno fatto i conti con il “re dei riufiuti”.

L’IMPERO

Cerroni è un re il cui impero è invisibile. Ha messo su una ragnatela di società che, si stima, fatturino quasi un miliardo di euro all’anno. Lui appare in prima persona nelle più importanti. Nelle altre ha posizionato le due figlie e uomini di fiducia. Non ha banche di riferimento, non è quotato in borsa. E, così facendo, il suo impero è cresciuto al punto da arrivare a gestire il trattamento dei rifiuti non solo all’ombra del Colosseo ma anche a Brescia, Perugia, in Albania, Romania, Francia, Brasile, Norvegia fino in Australia. I suoi uffici sono in zona Eur. E all’Eur c’è Romauno, una televisione locale dove lavorano validi e giovani giornalisti.

IL DECLINO

Ultimamente, però, il suo core business, è a rischio. Con la giunta Alemanno sono state subito scintille. Sulla discarica di Malagrotta ormai lampeggia la scritta «game over». Dal 2005 va avanti solo grazie a proroghe annuali perché i politici romani non trovavano (o non volevano trovare?) un’alternativa a quello che ormai era diventato un monopolista assoluto. Nei giorni scorsi il ministro all’Ambiente Corrado Clini, dopo un incontro con il commissario Ue all’Ambiente Janez Potocnik, lo ha ricordato: «L’11 aprile termina la consegna dei rifiuti non trattati a Malagrotta che a giugno chiude. Finisce così il sistema su cui si è basata Roma per quarant’anni».

Una batosta che si aggiunge ad un altro stop improvviso a settembre del 2012 quando Alemanno ha scoperto che l’ad dell’Ama, Salvatore Cappello (subito messo alla porta), stava per siglare proprio con il Co.La.Ri di Cerroni un contratto che vincolava l’azienda a pagare 500 milioni di euro in dieci anni per il trattamento meccanico biologico (tmb).

Un’operazione che - come ha detto il consigliere d’amministrazione di Ama Stefano Commini - non avrebbe fatto altro che potenziare il ruolo monopolista di Cerroni scoraggiando qualsiasi altra azienda del settore a lavorare su Roma.

LE INDAGINI

A peggiorare la situazione sono arrivate in questi ultimi anni le inchieste della magistratura. Molti i filoni: la gestione di Malagrotta e l’inquinamento delle falde acquifere; il sequestro del gassificatore entrato in funzione con un’autocertificazione irregolare; gli impianti per la produzione di cdr (combustibile ricavato dai rifiuti) che Cerroni ha realizzato ad Albano Laziale; e la recente vicenda dei lavori senza autorizzazione a Monti dell’Ortaccio. Per ognuna le ipotesi di reato sono diverse: associazione a delinquere, truffa, traffico illecito di rifiuti.

IL BLITZ

Il governo ha deciso di chiudere Malagrotta. Ma, d’accordo con Comune e Regione, non ha alcuna intenzione di aprire una nuova discarica a Monti dell’Ortaccio, a poche centinaia di metri da Malagrotta: in quella Valle Galeria che già ha pagato un prezzo altissimo in tutti questi anni. Il ministro Clini punta a potenziare la raccolta differenziata. Cerroni non ci sta: vuole aprire ad ogni costo la discarica a Monti dell’Ortaccio. E ancora una volta ha armato il suo esercito di avvocati, alla ricerca di escamotage e per riuscire a difendere il suo impero. Adesso ha impugnato un’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) rilasciatagli dal commissario Goffredo Sottile ma che ormai, secondo il governo, è priva di validità. Difficile che ci riesca e dispetto delle ragioni dei residenti e delle direttive del ministro Clini.