Giovane reatino suicida in carcere, l'avvocato Schifi: «Matteo non poteva stare in carcere»

L'avvocato Patrizia Schifi
di Sabrina Vecchi
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Martedì 9 Gennaio 2024, 00:10

RIETI - «Lo conoscevo da anni, era un ragazzo sensibile ed estremamente intelligente. Vista anche la sua giovane età, tutti speravamo si potesse recuperare, i presupposti c’erano». L’avvocato reatino Patrizia Schifi era l’amministratore di sostegno di Matteo Concetti, 25 anni, morto suicida nel carcere di Ancona, all’interno di una cella di isolamento, lo scorso venerdì. «Un ruolo che mi è stato assegnato dal Tribunale nel 2019, quando Matteo era ai domiciliari a Rieti, per furti. Mi occupavo di affiancarlo nel suo percorso, facendo da tramite col suo difensore. Le cose andavano abbastanza bene, tutto faceva sperare in un recupero». 
Il ruolo dell’amministratore di sostegno è andato a sostituire negli anni quello del tutore. «Il tutore - spiega l’avvocato Schifi - si sostituiva completamente alla persona assistita, l’amministratore di sostegno offre un ruolo di affiancamento, io e Matteo decidevamo insieme, parlavamo. Ci confrontavamo». 
Matteo Concetti aveva commesso reati da minorenne, e dopo la maggiore età aveva avuto problemi legati alla tossicodipendenza, difficili da gestire senza un sostegno specialistico. «Il percorso di Matteo è stato complicato, ma nessuno avrebbe mai pensato che sfociasse in una tragedia simile. Stava scontando la sua pena in una comunità a doppia diagnosi a Pistoia, e con buon successo. Era un lavoratore, pensava di stare ormai bene, dunque ha scelto di tornare a Rieti. Aveva come prescrizione quella di recarsi al Sert, io facevo da tramite col tribunale, tra gli orari del suo lavoro e quelli della detenzione domiciliare: una rete che funzionava», spiega l’avvocato Schifi. Finché Matteo non decide di spostarsi a Fermo per lavorare. Prende casa e la competenza si sposta al Tribunale di sorveglianza di Ancona. «Sono rimasta suo amministratore perché lui continuava a risiedere a Rieti, ci sentivamo spesso al telefono. Poi è successo che ha commesso due violazioni, tardando rispetto all’orario di rientro previsto e per lui è stata disposto il carcere - dice Patrizia Schifi - mi sentivo continuamente con il difensore di Matteo, che aveva ben sottolineato l’incompatibilità della patologia psichiatrica del ragazzo col carcere». Una richiesta che non venne raccolta: «Era un ragazzo affetto da bipolarismo, aveva già tentato il suicidio in passato. Il suo stato non era compatibile con la detenzione. Solo pochi giorni fa, il 28 dicembre, il suo legale aveva inviato una Pec alla struttura per capire se Matteo stesse seguendo la terapia farmacologica, sottolineando che si trattava di soggetto fragile ed autolesionista, di tenerlo sotto controllo. Una richiesta rimasta senza risposta». 
L’avvocato Schifi sente Matteo per telefono a metà dicembre. E’ l’ultima volta che lo sente: «Era disperato. Lo stavano per mettere in isolamento dopo un’aggressione con uno sgabello a una guardia carceraria, mi chiedeva di fare da tramite con la sua fidanzata, mi ha ripetuto che non poteva più stare in quel posto». Dopo una manciata di giorni, la tragedia: «È precipitato tutto velocemente. Lui si era convinto ad andare in comunità, ma non ci sono stati i tempi tecnici. Venerdì scorso la madre mi ha chiamata, il figlio le aveva detto del suo proposito e il suo senso materno le diceva che quello del suicidio era un progetto realistico. Non ho potuto far nulla. Pensavo che essendo in una cella di isolamento fosse ipercontrollato. Invece».

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