Misna, chiude la voce dei missionari. L'editoria cattolica perde un altro pezzo

Misna, chiude la voce dei missionari. L'editoria cattolica perde un altro pezzo
di Franca Giansoldati
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Sabato 9 Gennaio 2016, 17:02 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 14:27
Città del Vaticano - L’informazione cattolica perde un altro pezzo importante. Dopo la chiusura de Il Regno, voce autorevole nei dibattiti del cattolicesimo democratico e di Settimana, altra rivista dei Dehoniani di Bologna, a cessare le attività è la Misna, l’agenzia dei missionari fondata da padre Giulio Albanese che per 17 anni ha puntualmente informato sulle guerre dimenticate, in Sud Sudan, in Congo, in Sierra Leone, in Ruanda, raccontando il Sud del Mondo, dando spazio a chi non sempre aveva voce e poteva raggiungere l’informazione occidentale. Erano stati fatti alcuni tentativi per impedire la chiusura della Misna ma anche l'estremo tentativo di salvare la testata, grazie ad una proposta dalla Cei, non è bastato e così i superiori generali dei quattro istituti soci dell'agenzia (i comboniani, i Missionari della Consolata, i Saveriani e il Pime) hanno lasciato cadere nel vuoto la proposta.

Colpa di costi di gestione troppo alti e del calo degli abbonamenti. Un po’ la stessa sorte che è toccata, qualche mese fa, anche alle riviste dei Dehoniani. Ogni sforzo per mantenerle in vita è stato inutile.

Il Regno”, quindicinale di attualità e documenti, è nato nel 1956 per affrontare l’attualità ecclesiale internazionale, la dimensione ecumenica, la proposta teologica, il dialogo con la cultura laica e accademica e l’impegno allo sviluppo politico e civile.

Tutt’altra storia invece per “Settimana”. In origine il giornale si chiamava “Settimana del clero” ma nel 1965 viene acquisita dai dehoniani che lo rilanciarono facendone il più diffuso settimanale fra i preti italiani. Non se la passano bene nemmeno gli altri settimanali cattolici. La Fisc, federazione italiana che raggruppa 190 realtà – i giornali del territorio – risentono pesantemente della crisi economica, degli abbonamenti e, soprattutto, della batosta dei tagli ai contributi pubblici all’editoria. 
 
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