Valutazione dei presidi/ Il merito nella scuola cancellato dal ministro

di Oscar Giannino
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Sabato 15 Aprile 2017, 00:03
Niente da fare, merito e pubblica amministrazione continuano a fare a pugni. La retribuzione di risultato differenziata e sulla base di valutazioni individuali continua a essere considerata nella PA come un rischio possibilmente da evitare, non come un potente incentivo a fare meglio. La cattiva notizia, infatti, è che è saltata la retribuzione di risultato in base alla valutazione di ogni dirigente scolastico italiano. Ne ha dato informazione un dettagliato comunicato della CGIL Scuola, che ha riferito l’impegno del ministro Fedeli a modificare e sospendere la direttiva 36/2016, con cui nella scorsa estate si disciplinava la valutazione dei presidi. 

Sarebbe avvenuta attraverso nuclei di valutazione con specifici obiettivi in ogni Regione, con scadenza annuale per ogni triennio di incarico ricevuto, in relazione all’apporto di ciascuno al miglioramento dell’offerta formativa e dei risultati dell’istituto in cui il dirigente presta servizio, e con una valutazione espressa in quattro diversi gradi di giudizio. A seconda della valutazione ottenuta, sarebbe stata assegnata una maggiorazione del compenso di risultato graduata da zero al 30% superiore a quella spettante a chi avesse conseguito il giudizio immediatamente inferiore. E, in caso di reiterato mancato raggiungimento del risultato, la valutazione poteva sfociare anche nel licenziamento. 

Invece non se ne fa nulla, si vedrà nel 2018. I sindacati e le associazioni dei presidi hanno lamentato che la macchina amministrativa era in ritardo, gli obiettivi fissati dai pochi nuclei di valutazione già al lavoro erano naturalmente non condivisi dai sindacati, e questo e quell’altro. E il ministro Fedeli ha prontamente capitolato. Per quest’anno non se ne parla. Se si paragona al trionfalismo con cui la scorsa estate era stato annunciato che il fondo unico per la retribuzione di risultato e posizione dei dirigenti scolastici era stato incrementato di 26 milioni dal 2016, mentre per il 2015 era di 163 milioni e di 114 nel 2014, si direbbe che la Buona Scuola resta di nome, ma i fatti assumono una veste molto diversa dagli annunci.
È il caso di spiegare come funziona, la retribuzione attuale dei presidi. Si compone di tre voci: stipendio tabellare (43mila euro annui circa, tutti i dati sono al lordo), retribuzione di posizione (è commisurata alle dimensioni e alla complessità dell’istituzione scolastica diretta, può variare tra i 10 e i 15mila euro), e retribuzione di risultato (pari al 15-20% dello stipendio di posizione, quindi sui 2mila-2.500 euro lordi annui). Da molti anni, la retribuzione di risultato viene in realtà assegnata spalmandola in maniera egualitaria su tutti, in linea con la retribuzione di posizione. Per cinque volte in 20 anni i ministri Fioroni, Gelmini, Carrozza e Profumo hanno provato a dare sostanza ai criteri di valutazione individuale, per attribuire un significato vero e proprio alla retribuzione di risultato. Ma il tentativo è sempre fallito, esattamente come capita anche oggi. 

Eppure questa volta si era partiti con un metodo graduale, per ammansire i sindacati. Dando prima regole e forza all’autovalutazione di ciascuna scuola, con i risultati che ciascuno può trovare sul sito cercalatuascuola.istruzione.it: presenze, assenze, risultati dei test Invalsi, abbandoni, progetti in corso, miglioramento o peggioramento delle performance negli anni. Posta questa base, il ministro Giannini era passato alle procedure e ai criteri per la valutazione di ogni singolo dirigente scolastico. Al quale la riforma attribuiva nuovi poteri e responsabilità, che aveva senso dunque affiancare con un salario di merito “vero”, cioè personale. 
Al contrario, nelle polemica sulla riforma i sindacati prima sono partiti lancia in resta contro i nuovi poteri del preside, diventato nella vulgata sindacalese “lo sceriffo”. E una volta ridotte almeno in parte le nuove attribuzioni, anche alle associazioni di presidi non è restato che unirsi alla richiesta dei sindacati di soprassedere ai giudizi e ai premi individuali. 

È un triplice errore. Per il metodo seguito. Per la sostanza della decisione. E perché così si svuota dalla testa un pezzo essenziale delle innovazioni della Buona Scuola.
Il metodo con cui si adotta lo stop è quello del confronto chiuso con i sindacati. Piacerà al ministro Fedeli, ed è diventato sulla scuola la parola d’ordine del Pd post sconfitta referendaria. Nel tentativo di recuperare i voti persi con la riforma. Se n’era già avuta prova nell’immediata capitolazione del neoministro, sul ritorno alla scelta delle cattedre preferite più vicine a casa da parte degli immessi in ruolo.È continuato con la terza sanatoria appena varata per la messa in ruolo, sulla base di concorsi iperagevolati per i precari. E ora prosegue con la rinuncia alla valutazione individuale dei presidi.

La sostanza della decisione è un criterio meramente egualitario. Poiché i dirigenti scolastici lamentano – e hanno ragione – che la loro retribuzione è di molto inferiore a quella di altre categorie di dirigenti pubblici, allora meglio accontentare l’egualitarismo a pioggia che accrescere le differenze.
Ma la conseguenza più grave è che la valutazione individuale del dirigente era il vero traino per accrescere nel tempo lo sforzo a migliorare l’offerta di ogni singolo istituto di cui è alla testa. Rinviando alle calende greche il salario individuale, si preferisce ancora una volta seguire la strada della trattiva sindacale collettiva su base regionale delle retribuzioni di posizione. Sulla base dell’idea che il merito e la concorrenza individuale per il miglior risultato sia invece un meccanismo insano, da aziende private, una vera e propria violazione dello spirito collettivo a cui devono ispirarsi le unità organizzative della pubblica amministrazione. 
Un vero peccato. La capitolazione ai sindacati, dai voucher alla scuola, sta diventando una retromarcia che svuota di significato le novità che Renzi aveva presentato e rappresentato. 
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