Politica e famiglia/ Quell’ultima barbarie in sfregio al garantismo

di Mario Ajello
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Lunedì 6 Marzo 2017, 00:04
Nel codice tribale albanese del medioevo, denominato il Kanun, vigeva il principio che la responsabilità personale del padre ricadeva su tutti i membri della famiglia, a cominciare dai figli. Che la neo-politica modello Grillo - il cui obiettivo è abbattere Renzi colpendolo attraverso il genitore - possa ricalcare quell’antico codice rischia di rappresentare un ritorno al primitivismo, che stride con la sbandierata modernità. Come è saltata nell’Italia giustizialista di questi anni la divisione degli “ordini” e dei poteri, così viene fatta saltare la divisione tra padri e figli, accomunati nel medesimo marchio d’infamia. Premesso che sulle eventuali responsabilità di Tiziano Renzi si debba fare chiarezza da parte della magistratura, come stabiliscono i criteri basilari della giustizia e del garantismo, a cui non ci si può convertire tatticamente all’ultimo momento, resta il fatto che nella caccia alla preda finale viene invasa la sua sfera affettiva. In uno sconfinamento della politica che finisce per aggredire i diritti di libertà. «La famiglia - scriveva infatti G.K. Chesterton, e aveva ragione - è il test della libertà. Perché è l’unica cosa che un uomo libero si costruisce da sé e per sé». Anche per questo andrebbe lasciata fuori dalle contese.
Allestire una gogna collettiva per un padre e per un figlio, attraverso post e tweet avvelenati, deve apparirgli una mossa pop (invece è pulp) e propagandisticamente conveniente, senza curarsi del contenuto di violenza che essa racchiude.

Lo spettro è quello di una riproposizione del clima degli anni ‘20 del secolo scorso - 1920/2020 sarebbe un parallelo tremendo - in cui il manganello di allora è diventato il web di ora. Questo tipo di scelte sembrano dettate da un algoritmo, cioè da un processo attivato per determinare una cosa. E la cosa è un sillogismo puramente suggestivo, banalmente emozionale: il figlio è come il padre, e se il padre è un malfattore anche il figlio è un malfattore. Siamo così, nell’accezione maccheronica, al vecchio luogo comune del «qualis pater talis filius». Anche se il trucchetto di attirare un giudizio negativo della gente sul personaggio pubblico in questione, attraverso la denuncia delle eventuali colpe del familiare, non può dimostrare nessuna responsabilità da parte dell’oggetto finale della campagna. Il quale però in questo meccanismo non può fare nulla, a parte la mozione degli affetti anche a rischio di diventare retorici, per difendere il familiare. E si trova in una condizione di sofferenza personale - perché trafitto nei sentimenti più profondi, quelli che fanno dire a Tom Hanks in un celebre film: «Non chiedermi chi fosse mio padre, era mio padre» - volutamente calcolata dall’aggressore.

Quel che forse è peggio sono le conseguenze sociali innescate dal nuovo codice Kanun. Invadendo il privato dell’avversario si sta dimostrando di poter invadere, via web, il privato di tutti. E si può finire in quel Grande Fratello di cui nessun cittadino sente il bisogno. Specialmente in una fase di incertezza e di difficoltà non solo economiche - «la solitudine del cittadino globale», la chiamava Zigmunt Bauman - in cui la famiglia è sempre di più il rifugio intoccabile, il nocciolo duro e insieme fragile dell’esistenza di ognuno. Una sorta di luogo laicamente sacro. E non solo un personaggio pubblico ma anche un privato cittadino non può accettare l’idea grillesca che la sua famiglia possa venire considerata indistintamente - secondo il volere di qualcuno che si atteggia a giudice e a giustiziere - una conventicola.
Si è sempre criticato, e spesso a ragione, il familismo anzi il “familismo amorale”, che spira in molte vicende italiane. E si è pure abusato di questo approccio. Come dimostrano, tra i tanti, i casi in cui - “qualis filius talis pater” - per rovinare gli illustri genitori si sono attaccati i figli. Il ministro democristiano Attilio Piccioni, solo per fare un esempio, fu distrutto dalle accuse al figlio musicista (poi assolto dal delitto Montesi) e quel galantuomo mite e sapiente di Giovanni Leone dovette sloggiare anzitempo dal Quirinale, a causa delle maldicenze sulla vita dei suoi cari. Queste vecchie storie dovrebbero insegnare qualcosa. Così come è storicamente naturale che la legge della gogna familiare e della gogna in generale rischia di ritorcersi contro chi la pratica. Una volta che si sono fatte saltare tutte le regole di civiltà.
 
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