Ritorno alle Nazioni/La profezia Thatcher sull’Europa in declino

di Marco Gervasoni
3 Minuti di Lettura
Giovedì 17 Marzo 2016, 23:38 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 00:05
Il nostro premier si è giustamente lamentato della frequenza di vertici europei che sembrano risolutivi ma in cui in realtà non si decide nulla, riunioni che chiudono una falla per poi farne aprirne poco dopo un’altra. Non sappiamo se finirà così anche il vertice che prevede uno scambio tra Ue e Turchia sulla questione dei migranti. Ankara, secondo il resoconto pubblicato dal “Figaro”, si impegna a riprendersi i profughi arrivati in Grecia dalla Turchia, compresi i siriani “la cui domanda di asilo è irricevibile”. Nello stesso tempo, la Turchia selezionerebbe gli immigrati “legali” da far entrare nella Ue, 18.000 in un primo tempo, 72.000 in un secondo. In cambio Ankara chiede finanziamenti, l’abolizione del controllo sui passaporti per i turchi che si recano in Europa e la riapertura delle trattative sull’ingresso nella Ue. Il cervello politico dell’accordo, più che a Bruxelles, si trova a Berlino. Tanto che questa volta non si è neppure cercato di mantenere le forme di un asse franco-tedesco, la Merkel avendo deciso da sola e presentato il fatto compiuto a Hollande, che peraltro non sembra aver molto protestato.
Non è un caso che un accordo, magari funzionale di fronte a un’emergenza ma politicamente discutibile, avvenga sulla questione dei migranti. Pochi dossier come questo sono destinati a far saltare una identità politica assai flebile come quella europea.
 
La figura stessa del migrante ha richiamato in vita nozioni e concetti che gli “euro entusiasti” consideravano a torto defunti: le frontiere, la sovranità del territorio, in buona sostanza la nazione. Come è accaduto spesso, ma raramente con tanta evidenza, diventa lampante che l’Europa non solo non possiede una posizione comune, ma che le tradizionali, in alcuni casi plurisecolari, politiche estere dei singoli Stati continuano a prevalere. Come non vedere, ad esempio nei confronti della Russia e soprattutto della Turchia, la permanenza di una politica di Berlino già rintracciabile ai tempi di Bismarck? E l’ostilità alla Turchia di Parigi non è animata dalle stesse ragioni per le quali storicamente il quai d’Orsay non ha mai potuto sopportare Istanbul? L’unico momento in cui queste “costanti” non hanno funzionato, bisogna ammettere, fu durante la guerra fredda, quando il cervello politico dell’Europa occidentale stava fuori d’Europa, cioè a Washington.

Forse non aveva torto il vecchio De Gaulle quando ripeteva che la politica estera dei “popoli” ha una durata che si espande nei secoli, di certo oggi suonano profetici i rimproveri di Margaret Thatcher, allora bollati come sterile “nazionalismo”.
Anche perché, stando alla questione migranti, non si tratta neppure di politica estera: l’afflusso (e anche la paura dell’afflusso) è talmente consistente da modificare i rapporti di forza politici interni, come si è visto pochi giorni fa nelle elezioni tedesche, da non enfatizzare ma neppure da sottovalutare. Il tempo a disposizione dell’Unione europea per il salto di qualità richiesto ormai da anni sta per scadere. Lo ha ricordato, proprio ieri, anche il presidente della Bce Mario Draghi dicendo che è indispensabile «avere chiarezza sul futuro dell’Unione monetaria». Perchè l’emergenza migranti fosse, come si spera, anche risolta, domani si presenteranno nuove crepe. Le patrie continuano infatti ad esercitare richiamo, le lingue anche, i governi sono eletti ancora su base nazionale e l’esecutivo politico della Ue non possiede alcuna reale legittimazione. Avanti così e si arriverà a un’Europa a due velocità, pura zona di interscambio economico: il fallimento del progetto dei Padri a opera dei figli. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA