Ravvedimento operoso dopo la presa di coscienza

di Mario Ajello
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Venerdì 7 Settembre 2018, 00:04
Si può definirlo, in via preliminare, un ravvedimento operoso. E’ quello di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio. Ma c’è subito da chiedersi: la svolta, da certi furori neo-politici a un approccio più sensibile alle varie compatibilità, è frutto di un’autentica presa di coscienza, e dunque è destinata a durare, oppure rischia di essere soltanto una mossa?

A giudicare dalle prese di posizione dei due vicepremier, la correzione di rotta - rispetto a quando era tutto un florilegio così: «Sfondiamo il parametro del 3 per cento», «Ridiscutiamo i trattati Ue», «Facciamo dell’Ilva un parco giochi» e il libro dei sogni veniva squadernato con baldanza - sembra oggettiva. Nei fatti, in certi casi l’approdo al realismo politico, cioè all’esigenza di tutelare l’interesse nazionale e la sicurezza anche economica dei cittadini, rispetto alle ideologie di partenza e al profluvio di promesse propagandistiche, pare certificato. In altri casi, invece, si è ancora nell’empireo degli annunci e delle buone intenzioni, che devono ancora lottare con le vecchie tentazioni. Il caso dell’Ilva è quello di una furiosa battaglia di tre mesi, in cui Di Maio arrivò a bollare come «illegittimo il contratto firmato dal governo precedente, un omicidio di Stato», per poi approdare praticamente al punto di partenza.


Tra l’altro dando ragione a Ennio Flaiano, il quale diceva che in Italia «la linea più breve tra due punti è l’arabesco». Nel frattempo si sono sprecati soldi pubblici tra cassa integrazione e stallo. Il bagno di realismo su Ilva va naturalmente salutato con molti urrà. Augurandosi che regga questo approccio concretista e sviluppista e non riprenda il sopravvento la fantasia al potere.

Un altro terreno è quello della manovra economica e dei conti pubblici. Mesi e mesi tra sparate miracolistiche, ansie rottamatorie dei vincoli comunitari e ricette che si sapevano essere improbabili ma occupavano l’intero spazio della dichiarazia. Finché, adesso, la flat tax e il reddito di cittadinanza stanno assumendo le sembianze di bandiere identitarie piuttosto che di leggi di pronto impiego, almeno nell’anno che verrà. Per quanto riguarda i vaccini, qui siamo al simbolo dei dietrofront e dei ravvedimenti. Si sta tornando all’obbligatorietà vaccinale - una luce nel buio neo-medievale - perché la maggior parte dei bambini rischierebbero a causa dell’oscurantismo anti-scientifico dei pochi. Che evidentemente si sono rivelati pochissimi, e infatti il governo adesso ragiona criticamente sulla deriva che pareva imboccata. Spostando su posizioni di modernità il pendolo che rischiava di indugiare su posizioni culturalmente arcaiche e ormai assolutamente improponibili.

Anche se non bisogna illudersi troppo facilmente di aver vinto questa battaglia perché la correzione di tiro di ieri - autocertificazione fino a marzo, invece dell’obbligatorietà da certificato medico - è un comprensibile rimedio tattico-politico, per non sconfessare il ministro Grillo, ma resta un alone di incertezza sulla questione che non lascia tranquilli i cittadini. Comunque salutiamo il passo avanti che si è fatto.

Ammesso che si tratti davvero di svolte, il punto è capire perché sono avvenute e come mai s’è innescato il processo di ravvedimento operoso. Nel caso dei vaccini, perché la ragione non può soccombere alle tenebre e come ha detto giustamente il presidente Mattarella: «La scienza non è nemica». Negli altri casi, è possibile invece che abbia sortito qualche effetto positivo il ragionare, per esempio, sul documento di Bankitalia secondo cui l’innalzamento dello spread s’è rivelato direttamente proporzionale al livello di sparate miracolistiche degli esponenti di governo in fatto di politica economica e finanziaria. Un’altra ragione può essere la sotterranea, ma molto concreta, moral suasion del trio Draghi-Mattarella-Tria. Capace di convincere i due vicepremier che, oltre ai problemi politici che si stavano aprendo, l’andazzo intrapreso cominciava ad aprire falle nelle tasche degli italiani, con la perdita dei risparmi e l’impoverimento generale del Paese.

Per questo tipo di consapevolezza nuova, per esempio, la Lega ha dovuto accogliere l’allarme degli imprenditori, molti dei quali hanno puntato sul Carroccio, spaventati dal decreto Dignità. Mentre sarà più complicato, per i vertici dei 5 stelle, far quadrare la svolta pragmatica sull’Ilva e forse sul Tap, visto che sono stati due asset su cui i grillini hanno stravinto le elezioni in Puglia con oltre il 50 per cento dei consensi e il rovesciamento dei quali sta già provocando un putirerio nel popolo pentastellato.

Il realismo politico può essere una strategia o una tattica.
La repentinità di queste svolte potrebbe far temere che si tratti di tattica, di espediente per superare l’autunno. Se invece siamo a quel che diceva Tucidide, maestro di democrazia, ossia al realismo politico come vero «processo empirico» di tipo virtuoso, allora c’è da essere più ottimisti. E fare il tifo perché le luci appena accese non vengano spente e si ritorni indietro.
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