Jobs Act, il garante della Privacy: «Evitare forme invasive di controllo»

Jobs Act, il garante della Privacy: «Evitare forme invasive di controllo»
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Martedì 23 Giugno 2015, 12:27 - Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 15:59

Il decreto del Jobs Act all'esame delle Camere deve impedire «forme ingiustificate e invasive di controllo» dei lavoratori, «nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea», evitando «una indebita profilazione delle persone che lavorano». È il monito del Garante privacy, Antonello Soro, nella Relazione annuale.

«È auspicabile che il decreto legislativo all'esame delle Camere - afferma Soro nella Relazione al Parlamento - sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea.

Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano». «Occorre sempre di più coniugare l'esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti», insiste il Garante.

Per quel che riguarda il terrorismo, Soro dice: «Dobbiamo contrastare la ricorrente tentazione di considerare le libertà civili come un lusso che non ci possiamo permettere di fronte alla minaccia terroristica», invitando ad evitare le «raccolte massive di dati» per proteggere la sicurezza.

«È dalla centralità dell'Habeas data delle nostre democrazie che deve partire l'Europa - sottolinea ancora Soro nella Relazione al Parlamento - per combattere il terrorismo e ogni fondamentalismo senza rinnegare se stessa e la propria identità. Rivedendo il rapporto tra privacy e sicurezza anche sotto il profilo della reale efficacia della sorveglianza di massa, rivelatasi assai meno utile, anche in termini investigativi, rispetto a quella "tradizionale", mirata e selettiva». Per il Garante, «il modo migliore per difendere la nostra sicurezza è proteggere i nostri dati» ed «evitarne raccolte massive, limitando 'la superficie d'attaccò per un terrorismo che sempre più si alimenta della rete per passare dallo spionaggio informatico alla concretissima violenza delle stragi».

Per Soro, «un'efficace prevenzione del terrorismo dovrebbe dunque selezionare - con intelligenza, appunto - gli obiettivi 'sensibilì in funzione del loro grado di rischio e fare della protezione dati una condizione strutturale di difesa dalla minaccia cibernetica, come abbiamo sottolineato anche al Comitato Schengen». Il Garante definisce «un atto di saggezza» lo stralcio dal decreto anti-terrorismo delle norme sulle intercettazioni da remoto e «le modifiche apportate alle previsioni che, da un lato, ammettevano le intercettazioni preventive per qualsiasi reato commesso online e che, dall'altro, estendevano 'a regimè in misura rilevante e non selettiva il tempo di conservazione dei dati di traffico».

Tuttavia, avverte Soro, «rischi analoghi di "sovra-acquisizione di dati" possono derivare, sia pure in misura diversa, anche dall'uso di mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi - ad esempio acquisizioni di tabulati o intercettazioni - se non circondati da misure di sicurezza idonee a impedire abusi o non adeguatamente circoscritti sulla base dei presupposti individualizzanti previsti dal codice di procedura penale, con il rischio di trasformarsi, così, da individuali a massivi. Peraltro, i dati personali acquisiti con questi mezzi investigativi vanno protetti anche successivamente alla raccolta, per impedire ogni tipo di abuso».

Intercettazioni. Serve «un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, in un contesto di generale mediatizzazione della giustizia», ha spiegato Soro, che è tornato sul tema intercettazioni e in particolare sui rischi di «gogna» che confonda «il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo».

Il rispetto del principio di essenzialità dell'informazione, ricorda Soro, viene «infranto dalla divulgazione (spesso anche in violazione del regime di pubblicità degli atti investigativi sancito dal codice di rito) di ampi stralci o, addirittura, della versione integrale di atti d'indagine (interrogatori in carcere, intercettazioni), funzionali a soddisfare la curiosità del pubblico ma non reali esigenze informative rispetto al procedimento. Il tutto con danno, spesso irreparabile, per i terzi - anche minori, talora vittime del reato - la cui esistenza viene in tal modo messa a nudo e riversata in rete, anche per sempre».

Il Garante rivendica di aver «rappresentato al Governo la necessità di un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, in un contesto di generale mediatizzazione della giustizia. Il coinvolgimento a qualsiasi titolo in un procedimento non può, infatti, divenire la ragione, di per sè sufficiente, per esporre la parte o il terzo a una gogna che confonda il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo».

Di qui l'auspicio che «Parlamento e Governo vogliano farsi carico di quest'esigenza, coniugando gli aspetti della correttezza e lealtà dell'informazione e della riservatezza nelle indagini, nel rispetto del principio di proporzionalità tra privacy e mezzi investigativi ribadito, anche recentemente, dalla Corte di giustizia».

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