Dibba, mini-Masaniello de' noantri inventore di complotti e congiuntivi

Alessandro Di Battista
di Mario Ajello
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Venerdì 9 Settembre 2016, 09:03 - Ultimo aggiornamento: 10 Settembre, 08:06
«Daje Dibba, facce Tarzan!». Glielo gridano spesso, al Di Battista, nei bagni di folla in cui egli si tuffa con carpiato e doppio avvitamento più sorrisini attraenti e occhiatine rimorchione, sentendosi l'ami du peuple (ma Jean-Paul Marat rispetto ad Ale era un principiante dell'ammiccamento) e poi afferra le liane del non sense su cui volteggia gridando «noi» e intendendo «Io».

Chi c'è contro Io? Praticamente tutti - «Hanno paura di noi, ci vogliono fermare ma non ce la faranno perché gli italiani sono dalla nostra parte» - e insomma il Mossad e il destino cinico e baro che l'altra sera ha fatto piovere mentre dal palco di Nettuno parlava Io (cioè lui capace di salutare così le persone: «Ciao, come sto?»), l'Iran e il Kgb, «iclan-lecosche-lelobby-lebanchedaffari-iltrilateral-ilkappaggibbì-lamafia-lamassoneria» e pure «Verdini-LaBoschi-Napolitano» ma soprattutto «lavecchiapolitica» che stia attenta però.

Perché ha giorni contati, assicura il Masaniello de'noantri: «E' come il ladro che sta rubando dentro una casa privata e sente che si sta avvicinando la macchina della polizia che siamo noi». Noi? Io! Un tipo così a Grillo lo diverte. Mentre Di Maio lo teme. Anche se la vera competizione tra i due - e vincono entrambi - più che sulla premiership sembra sui congiuntivi. A Giggi che si lancia in uno strepitoso «come se verrei in questa piazza e urlerei...», l'insostenibile leggerezza dell'essere Dibba, che finge di scandalizzarsi per gli strafalcioni del rivale, contrappone con «soddisfamento» (cioè con soddisfazione) una doppietta micidiale che ha spopolato in tivvù: «Lei non mi interrompi!» (degno della scena in cui Fantozzi gioca a tennis e offre il servizio allo sfidante: «Che fa, batta lei?») e «non è giusto che le banche scrivino le manovre finanziarie».

Ogni sgrammaticatura concettuale è buona per formare il Dibba-pensiero tra terzomondismo (in Ecuador è andato a studiare gli orti urbani e «la giustizia indigena», in Africa bacia i bimbi e a Cuba abbraccia la statua del Che anche se il papà ha il busto di Mussolini in casa); eco-equo-ego-solidarismo («Il mio sogno? Dare un reddito di cittadinanza a tutti»); slang televisionario (ma fu scartato dalla De Filippi quando fece il provino per Amici); profondismo modello dj («La piazza è tutto, stare insieme è tutto, stanotte vi lascio con un pezzo di Bruce Springsteen e.... a riveder le stelle!!!»); e autarchia da kilometro zero da casello a casello. «Vogliamo mangiare ciò che produciamo - è il suo vaste programme, come avrebbe detto De Gaulle (chi?) - e produrre ciò che mangiamo». Ma avrebbe tranquillamente potuto dire: «Io mangio del mio mangio e bevo del mio bevo». Peccato che Flaubert non è riuscito a conoscere un tipo così: il suo «Bouvard e Pécuchet» sarebbe venuto meglio.

IL SORPASSO
E' un poco, Ale Dibba, il Bruno Cortona - in versione minuscola - che romba nel «Sorpasso» anche se Gassman aveva la scappottata e lui nel suo «Costituzione tour coast to coast» («Lo devo interrompere perché mi chiamano a Roma: c'è un problema da risolvere», ha proclamato l'altra sera quando stava crollando il Campidoglio) cavalca lo scooterone e ogni tanto, guardandosi con il casco in testa e la felpona combat, viene sfiorato dal dubbio: «Ma quanto mi piaccio?». «Dibbbaaaa....», gli gridano i fan esultanti, ora che l'unica stella non cadente, tra i 5 stelle, credono che sia questo onirico esemplare pop.

Grazie a lui l'Italia può salvarsi, anzi nascere o rinascere come fu nel Risorgimento e infatti, forse perché sia chiamava a sua volta Ale, il Dibba ama recitare dal palco il «Marzo 1821» di Manzoni (ma non sarebbe meglio in versione karaoke magari con la Raggi ai cori gospel visto che Grillo la definisce «una negra del Mississippi anni 60»?) perché quanto è patriottico il nostro eroe. Sulla cui biografia, nella Navicella parlamentare, non c'è scritto disoccupato ma «scrittore» e in effetti la Casaleggio Associati gli commissionò un libro di viaggio sui fenomeni delinquenziali in Colombia («Sicari a 5 euro») e da lì è cominciata la sua grande scalata politica di cui un tipo arguto come il giornalista Luigi Barzini avrebbe potuto scrivere: «Fare il grillino è sempre meglio che lavorare».

BUFALE & CHAMPAGNE
Spumeggia il Dibba. E può vantare un'allure internazionale capace di far impallidire Di Maio che pure all'estero ci va e quando ha tentato di entrare a Gaza per salutare Hamas - anche per conto dell'amico-rivale - gli israeliani stavano per impallinarlo. Comunque Ale, unico italiano, è entrato trionfalmente nella classifica mondiale delle «grandi bufale», curata dal New York Times, quando ha affermato: «La Nigeria per il 60 per cento è sotto il controllo di Boko Haram e il resto è Ebola». Mentre quaggiù, a parte il Dibba che è anche cantante come lo fu Califano, tutto il resto è noia.
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