Alfano e quella telefonata con Ligresti per la casa di un collaboratore

Angelino Alfano
di Claudia Guasco
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Mercoledì 15 Gennaio 2014, 07:58
Da una parte la telefonata imbarazzante con Salvatore Ligresti, l’immobiliarista siciliano ora a processo a Torino e indagato a Milano, in cui sollecita la casa per un suo collaboratore. Dall’altra il pasticcio Shalabayeva, con il Pd che lo pressa: «O chiarisce in Parlamento, o se ne va». Sono ore complicate per il ministro dell’Interno Angelino Alfano, finito tra i marosi dell’inchiesta Fonsai. Tra le carte depositate dal pm Luigi Orsi con la chiusura di un filone d’indagine - oltre a un colloquio personale riassunto in due righe di brogliaccio tra Ligresti e il guardasigilli Annamaria Cancellieri - spunta una conversazione di Alfano con l’ingegnere di Paternò. Nella quale il vicepremier, in un’atmosfera ilare e di grande familiarità, non si fa scrupolo di premere per un celere intervento di Ligresti.



APPUNTAMENTO A ROMA

Cinquant’anni di conoscenze giuste e rapporti ben coltivati hanno fatto di Salvatore Ligresti un uomo molto influente. In grado di ottenere subito un incontro con Silvio Berlusconi, ai tempi in cui era premier. Di intessere un solido legame con l’ex prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, con cui intercorrono decine di telefonate agli atti. O ancora di chiedere, tramite il fratello Antonino, l’intercessione della Cancellieri per la figlia Giulia sofferente in carcere. Ma altre volte sono i potenti a chiamare l’ex proprietario di Fonsai, come il ministro Alfano che quando era al dicastero della Giustizia contattò l’ingegnere e si accordò per un incontro alle nove di sera nell’hotel di Villa Pamphili. La conversazione è avvenuta alle 19,42 del 28 maggio 2011 ed è durata due minuti e 27 secondi. E’ stata la segreteria del ministro a fare il numero dell’ingegnere e a passargli il guardasigilli. «Illustre. Volevo sapere quanti siete», esordisce Ligresti. Alfano - che a Roma abita in una palazzina già di proprietà Fonsai poi passata a Unipol - chiede se sarà presente anche la moglie e don Salvatore elenca i partecipanti: «C’è mio figlio, mia figlia, mia moglie non c’è perché è dovuta rimanere a Milano». Replica del ministro: «Se vuole che io venga da solo... se no io sono con mia moglie e con un amico».



L’ex presidente onorario di Fonsai lo rassicura, «ho fatto fare un tavolo grande, quindi più siete, meglio è». Domanda del guardasigilli: «Ma... suo figlio scusami non doveva uscire con la Geronzi, con Mezzaroma e tutti gli altri?». Anche se non c’è, dice l’ingegnere, «non è un problema, poi verranno dopo». L’appuntamento è organizzato, l’ingegnere però insiste: se il guardasigilli vuole portare degli amici, il posto c’è. «Non avevo altra organizzazione se non dare ospitalità a questo amico caro con cui ci troviamo», spiega il ministro. «Ma anche i vostri amici, quelli li che devono venire»,incalza Ligresti. «Quelli ancora a Milano sono, se lei non gli dà la casa non possono venire qua», afferma Alfano. Risata dei due interlocutori. «Quelli ancora a Milano abitano, bè o meglio di fine settimana perché di settimana lui lavora qui da me». Ligresti è al corrente: «Sì...sì me l’ha detto».



La telefonata non è considerata penalmente rilevante e nell’entourage di Alfano c’è perplessità: perché, ci si domanda, inserirla tra le carte di un’inchiesta con cui non ha nulla a che fare? Ma c’è anche l’altro verso della medaglia. Per quale motivo i ministri della giustizia sono sempre al telefono con i Ligresti?, viene chiesto al segretario del Pd Matteo Renzi. «Ottima domanda - ribatte - Bisogna girarla a loro».

L’attacco ad Alfano arriva anche sulla vicenda dell’estradizione di Alma Shalabayeva. Se il collega ministro Dario Franceschini lo difende - «Non è un caso grave. Ha detto che non ha mai saputo della moglie e della figlia, ma di essere informato su un’iniziativa che riguardava il dissidente kazako» - a sguarnire il fianco è il suo ex capo di gabinetto Giuseppe Procaccini. Alfano sarebbe stato a conoscenza dei fatti, afferma in un’intervista. Parole che per Roberto Giachetti, vicepresidente Pd della Camera, non possono scivolare nell’oblio. «Procaccini dice che il ministro Alfano gli ordinò di incontrare l’ambasciatore kazako. In base a tali dichiarazioni il ministro avrebbe mentito in Parlamento. Dunque o smentisce e querela Procaccini, o chiarisce in Parlamento», dice Giachetti. La cui conclusione è: «In qualsiasi Paese democratico un ministro che mente al Parlamento se ne va».
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