Edward Luttwak: «Il governo americano sta sbagliando, l’Fbi poteva fermare quel terrorista»

Edward Luttwak: «Il governo americano sta sbagliando, l’Fbi poteva fermare quel terrorista»
di Flavio Pompetti
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Lunedì 19 Settembre 2016, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 00:40
NEW YORK Alzare la guardia, osservare il nemico negli occhi e chiamarlo con il suo nome. Questi sono i passaggi che secondo il politologo americano Ed Luttwak sono necessari negli Stati Uniti per evitare il ripetersi di episodi terroristici come quelli che hanno funestato il passato fine settimana a New York. Nella sua analisi, il governo statunitense si dimostra in intollerabile ritardo nell’identificare la natura della minaccia, e a mettere in atto misure preventive.

Però dobbiamo riconoscere che l’indagine è stata rapidissima, e l’arresto di Rahani immediato.
«È proprio per questo che la vicenda solleva nuovi interrogativi inquietanti. L’Fbi sarà riuscito a identificarlo a partire da indizi molto labili perché evidentemente lo conosceva. Ma allora perché non lo seguivano più da vicino, per capire cosa stava complottando? E perché non l’hanno neutralizzato prima che potesse entrare in azione?»

L’inchiesta darà una risposta a queste domande.
«Si ma nel frattempo abbiamo dei precedenti ai quali fare riferimento. L’attentatore di Orlando ad esempio era stato già interrogato due volte dalla polizia locale, e puntualmente rilasciato senza un ordine di particolare sorveglianza. Che cosa aveva impedito agli investigatori di identificare il profilo di massima pericolosità? L’incapacità politica di abbassare l’asticella dei controlli e di dichiarare che alcune categorie di persone sono potenziali nemici del paese».

Stiamo parlando di “profiling” etnico?
«Diamogli il nome che vogliamo, ma quando si sa che c’è un’ideologia religiosa che identifica il massacro dei cristiani come una misura correttiva del peccato, un rimedio per insegnare al mondo la strada che porta verso Allah, non si può andare poi a spaccare il pelo dell’uovo quando si tratta di intervenire. Ci sono negli Usa come nel resto dell’occidente moschee che predicano la violenza contro gli infedeli, e la cui attività spesso viene ignorata per timore di agire in modo discriminatorio».

Che livello di organizzazione c’era dietro le bombe di New York e del New Jersey?
«Ci sono solo individui che rispondono all’appello generale per la jihad. Né l’Isis né al Qaeda sono mai riusciti a costruire una base fissa negli Usa. Al più provano a mandare dei singoli terroristi per delle missioni speciali, come gli è riuscito di fare con l’11 di settembre. Ma da allora gli attentati compiuti in America sono tutti opera di cani sciolti, persone che si infervorano navigando su Internet e decidono di agire».

La concomitanza con l’apertura dei lavori dell’Onu non le sembra sospetta?
«Non mi meraviglierei se nei prossimi giorni dovessimo scoprire che sia Rahani sia Dahir Adan erano totalmente ignari dell’arrivo dei capi stranieri a New York. Ripeto, qui il problema non è cercare di capire il disegno che c’è dietro questi attentati, ma avvicinarsi con maggior coraggio alla fonte, dove troviamo individui radicalizzati all’interno di una comunità ben precisa».

New York negli ultimi quindici anni era riuscita ad evitare il ripetersi di attacchi contro la popolazione civile.
«La polizia di New York aveva istituito dopo l’11 di settembre del 2001 un’unità speciale che controllava l’attività delle comunità islamiche residenti nel proprio comprensorio. Il nuovo sindaco Bill de Blasio ha deciso che la sua esistenza era un’ombra vergognosa per la sua amministrazione perché la squadra agiva discriminando un particolare gruppo etnico, e l’ha abolita. Ora, se per controllare eventuali radicalizzazioni in una pagoda dobbiamo allo stesso tempo essere presenti in ogni chiesa battista e metodista della città, certamente non andremo molto lontano sulla strada della prevenzione».

Gli episodi terroristici del fine settimana avranno ripercussioni sulla campagna elettorale?
«Hillary Clinton potrà dire che è lei la persona con più esperienza, pronta a intervenire in caso di crisi. Ma tanti dettagli di questa storia, dalla nazionalità originaria dei due attentatori alla pistola dell’ex poliziotto che ha evitato una strage, sembrano ritagliati dall’agenda politica di Trump. Sarà lui a incassare il vantaggio nei prossimi rilevamenti di opnione».
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