Mercati e politica/Il commercio con Teheran vale il 2% del nostro Pil

di Oscar Giannino
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Martedì 26 Gennaio 2016, 01:45
Dice una buona regola liberale: quanto maggiori sono i rapporti economici tra Paesi, tanto minore sarà la possibilità di fraintendimento o scontro. In altre parole: intensificare gli scambi commerciali e i flussi d’investimento reciproci apre la porta alla collaborazione, e stringe i margini per l’ostilità. Nell’Unione Europea siamo a un punto in cui questa buona regola sembra non funzionare più. 
Ma è fortemente il caso di augurarsi che funzioni invece tra Occidente e Iran, dopo il venir meno delle sanzioni commerciali a seguito dell’accordo internazionale di Vienna sui controlli al programma nucleare di Teheran per vigilare che mai diventi <CF2>dual use</CF>, cioè a fini militari. Questo è il quadro della visita in corso in Italia del presidente iraniano Rouhani, e delle importanti intese che ieri sono state sottoscritte tra il nostro Paese e l’Iran. 
È una partita molto importante per tre ragioni. Ovviamente, come si vede dalle cifre in gioco, per il rilievo economico e finanziario che queste intese rappresentano per la crescita economica italiana e iraniana. Ma anche per due ragioni politiche: una geostrategica, rispetto al terribile scontro di egemonia in atto tra il fronte sciita di Teheran e quello sunnita guidato dall’Arabia Saudita; ma infine anche per la possibilità di esercitare una maggior influenza a favore dei diritti civili e politici del popolo iraniano stesso.
 
Qualche numero. Fino al 2005 l’Italia era il quinto Pa[/FORZA-RIENTR]ese fornitore dell’Iran, con il 6,1% delle sue importazioni, e dalla Ue ne proveniva il 40%. Tensioni e sanzioni hanno profondamente modificato il mix dell’import iraniano: nel 2014 la Ue pesava solo per il 9,5% mentre Cina ed Emirati Arabi coprivano oltre il 50% dell’import iraniano, e l’Italia era scesa all’1,7%. Nel 2015 la ripresa è significativa, e l’export italiano in Iran già risalirà verso 1,2 miliardi di euro, con un aumento del 7% sul 2014. Oltre metà del nostro export è fatta di meccanica, cioè macchinari e apparecchiature industriali, un altro quinto viene dalla somma di apparecchiature elettriche, prodotti in metallo e chimici. Ma il balzo più rilevante in atto nel 2015 sull’anno precedente riguarda l’abbigliamento, che sta crescendo di oltre il 50%. 
Poiché nel post sanzioni la crescita dell’Iran è stimata salire dall’1% scarso precedente verso il 6-7% annuo grazie al boom previsto degli investimenti e dei consumi, è ragionevole pensare che nel prossimo biennio l’export italiano possa crescere fino a 3-4 miliardi annui, e l’interscambio complessivo raddoppiare la cifra. Germania e Italia erano rimasti gli unici Paesi Ue nei primi dieci fornitori dell’Iran, mentre la Francia che tradizionalmente stava sopra di noi è scomparsa dalla top ten. Sarà essenziale tentare di risalire verso quel quinto posto storico che vantavamo prima delle sanzioni. È alla nostra portata, visto che a sostituirci nell’import iraniano erano semplicemente Paesi verso i quali l’Iran poteva continuare a esportare greggio. Fino al 2011 l’Iran era il nostro fornitore di greggio per oltre 5 miliardi di euro l’anno, mentre la quota si è azzerata successivamente.

Ma il più degli interessi italiani verrà dall’impiantistica e dai contratti bilaterali di <CF2>joint venture</CF> industriale, di cui ieri sono stati firmati i primi. La Danieli per 5,7 miliardi di dollari in fornitura di macchine e impianti, che verranno installati in Iran per realizzare il minerale di ferro pre-ridotto necessario per la produzione di acciaio tramite fusione in forno elettrico ad arco. Saipem per altri 5 miliardi per 2 mila km di oleodotti, e complessivamente altri 6 miliardi circa sommando impegni per il gruppo Pessina Costruzioni nelle realizzazioni ospedaliere, gruppo Gavio per autostrade, Ferrovie dello Stato nel trasporto su ferro e l’Alta Velocità Qom-Isfahan: la rete ferroviaria iraniana dovrà crescere da 10 mila a 25 mila km entro il 2025. 
Nell’auto, l’Iran pensa di potenziare la sua produzione da 1,2 a 2,5 milioni di unità annue. Peugeot ha già firmato un accordo-quadro con il gruppo iraniano Khodro, ora bisognerà vedere se Fiat-Chrysler riesce a realizzarne uno analogo con l’altro gruppo iraniano, Saipa: nel 2005 saltò la realizzazione di uno stabilimento Fiat che era previsto in Iran per 100 mila unità l’anno, e i rapporti storicamente erano ottimi.
Come si vede, sono in ballo per l’Italia impegni già oggi superiori al’1% del Pil italiano, e potenzialmente la cifra può arrivare almeno a raddoppiare: perché le intese oggi firmate sono il frutto di trattative già avviate prima della fine delle sanzioni, ma il quadro complessivo oggi è in rapida accelerazione e la concorrenza franco-tedesca verso l‘Italia in Europa sarà fortissima. Ma non è un caso che Rouhani abbia voluto cominciare il suo tour europeo proprio dall’Italia.

Non dimentichiamoci però che non c’è solo lavoro e reddito, in gioco nei nuovi rapporti tra Roma e Teheran. Nello scontro sciita-sunnita, la Russia sta con Teheran e gli Usa con l’Arabia Saudita. E l’Isis gode. Per l’Italia si apre una partita che militarmente e politicamente non potremmo altrimenti giocare, dalla Siria all’Iraq, all’impatto che ciò genera sul ribasso del prezzo del petrolio. Un ruolo nella costruzione di equilibri di pace e sicurezza in Medio Oriente basato sui rapporti economici si addice all’Italia di più che con missili e raid aerei.
Infine, gli iraniani. Non illudiamoci sulla presa che i riformisti di Rouhani hanno davvero sull’apparato militar-industriale saldamente nelle mani dei pasdaran, al comando della suprema guida spirituale della nazionale, Ali Khamenei. Il Consiglio dei guardiani che agli ordini di Khamenei e del clero sciita vigila sulla politica nazionale ha fatto strage dei candidati riformisti, nelle liste per le prossime elezioni politiche a febbraio. Ma con maggior rapporti economici l’Italia potrà levare una voce più ferma contro le violazioni gravi che in Iran continuano contro le libertà politiche, contro la pena di morte praticata in numeri sconvolgenti (oltre 2200 esecuzioni dacché Rouhani è presidente), e contro il disconoscimento del diritto all’esistenza di Israele che Teheran continua a proclamare. Renzi ieri ha deliberatamente citato Israele nella conferenza stampa congiunta con Rouhani. E ha fatto bene. A maggior ragione alla vigilia del Giornata della Memoria. 
 
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