Tratta della schiavitù, dall'Egitto a Guidonia: «Prendo 7 euro per 5 ore»

di Marco Ventura
4 Minuti di Lettura
Sabato 23 Agosto 2014, 09:21
Pap mi dice: quand’ che mi mandi i soldi? Io non so cosa rispondergli. Lavoro, ma mi pagano niente. Il massimo che ho guadagnato 7 euro in un giorno per 5 ore di lavoro.

L’Italia non è come ce la raccontavano gli amici che ricevevano dai figli in Italia i soldi per farsi la casa nuova». Chi era partito era diventato ricco (si fa per dire, tutto è relativo) abbastanza per comprare la casa e far sposare le sorelle. L’alloggio e la dote. «Non mi pento d’essere partito», dice Hafiz, 15 anni, testa rasata, occhiali, sguardo sfuggente, intimorito. «Io ce la farò, manderò a papà i soldi che si è fatto prestare e che deve restituire per il mio viaggio. Tremila euro. Ci riuscirò, piano piano. A casa però non ci torno». Ma i tremila, con l’usura fanno 4 o 5mila da rendere.



RACCOLTO IN MARE

Sull’unghia. Lui, Hafiz, è stato raccolto in mare un paio di mesi fa da una nave militare al termine di un’odissea iniziata a Tanta, governatorato di Gharbia nel nord dell’Egitto, un centinaio di chilometri sopra il Cairo, 120 sotto Alessandria. Da quando funziona Mare Nostrum, una barchetta ti porta al barcone in mezzo al mare, fatiscente, destinato al sequestro. La traversata si conclude col “salvataggio” sulle unità italiane. «Una volta ti raccoglievano sulle spiagge, ti portavano dritto nelle case». I complici dei trafficanti ti prendevano in consegna all’arrivo. Come un pacco. Nessuno veniva mollato senza prima riscattare il viaggio. Tutti questi ragazzini si danno arie da adulti. Hanno un asso nella manica, l’età: se la polizia vorrà identificarli, come minori non verranno espulsi. Per tutti la prima tappa dell’odissea, messo piede a Roma (a differenza di afgani e eritrei loro, gli egiziani, vogliono restarci, viverci), sono i mercati generali di Guidonia, vicino a Setteville, zona Gra-Tivoli. Hafiz entra nell’area del Centro agroalimentare romano (Car) seguendo il flusso dei coetanei. Una marcia di bambini. Bande di mocciosi. Come entra? Scavalca. Abbassa gli occhi, annuisce adulto e guardando timido a terra fa il gesto di mettere la palla nel canestro. «Salto la recinzione», intende. «Ho un cugino che ha un amico che è stato inseguito dai cani appena l’hanno visto i vigili», dice Hassan, altro pischello alla Kim come Hafiz, cresciuto in fretta ma che non smette di giocare anche quando ha il fiato corto per la fatica e la paura. Dice «vigili», intende le guardie giurate del Car con le loro macchine e i loro pastori. «L’hanno morso a un polpaccio e al collo, e un suo amico alla caviglia. Un altro è stato picchiato. Se i “vigili” ti vedono scavalcare, ti acciuffano, ti cacciano. Ma una volta che sei dentro è fatta, non ti disturba più nessuno. Puoi lavorare».



A quel punto comincia la fatica. Dura. Da spaccarsi la schiena. Svuotare le cassette della frutta, spostare i “bancali”, cioè le pedane. Altri ragazzi, tutti adolescenti, spuntano come fantasmi da dentro i furgoni. La popolazione intera di una casa famiglia si ritrova a prestare ai connazionali egiziani più esperti (e maggiorenni) i muscoli magri delle loro braccia. «Nella mia casa solo 4 non lavorano ai mercati generali» butta là Aziz, piccolo lavoratore minorenne in nero. Attorno a lui tutta una combriccola di senza famiglia. «Nessuno ci maltratta, nessuno fa caso a noi a parte i vigili. Qualche volta prendiamo dai furgoni le pedane, sì, le rubiamo, così poi le diamo a chi le rivende. O le mettiamo da parte, però se non abbiamo un parente, qualcuno che conosciamo, è difficile continuare a lavorare». A stento gli strappi la confessione che per alleviare i dolori del facchinaggio a volte prende dei farmaci. Oppiacei. Per non soffrire troppo.



FACCIO IL BARBIERE

Hafiz ha smesso di andare ai mercati generali, il gioco non vale la candela. Ha spiegato ai genitori che sta in casa famiglia, impara l’italiano e soltanto dopo lavorerà. Hassan s’è inventato un lavoretto che gli rende abbastanza. «Faccio il barbiere per i miei compagni della casa famiglia. Ho comprato una macchinetta e taglio i capelli. Però qualcuno mi ha chiesto di fare lo scontrino». Ride. «Per me la casa famiglia è come un albergo». Mohamed, un topolino dall’occhio vispo che potrebbe avere 13 anni, confessa che «sì, qualcuno mi ha chiesto di vendere la droga alla Stazione Termini. Nella mia casa famiglia c’è uno che lo fa. Va e spaccia. E ruba. Poi torna e dà fastidio a tutti. Io ho detto no, non voglio dare la vergogna alla famiglia». L’Italia cos’è, Mohamed? «Il mio sogno. Da grande farò il fruttivendolo».