Roma, «il Ministero fu inerte sui derivati»: la Corte di conti processa Morgan Stanley e gli ex vertici del Mef

Roma, «il Ministero fu inerte sui derivati»: la Corte di conti processa Morgan Stanley e gli ex vertici del Mef
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Giovedì 19 Aprile 2018, 23:17
Il ministero dell'Economia è stato «inerte», ha sottovalutato i rischi legati ai contratti derivati sottoscritti con la banca Morgan Stanley. Si è messo in posizione subalterna rispetto all'istituto di credito, colpevole di duplicità nei confronti del Tesoro, "specialist" nell'assistenza sulle aste dei titoli di Stato e allo stesso tempo controparte dei contratti. È iniziato questa mattina il processo contabile contro l'istituto americano e contro gli ex ministri, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, e dirigenti del Tesoro, Maria Cannata, ex responsabile del debito pubblico, e Vincenzo La Via, attuale direttore generale, imputati per un danno erariale da 3,9 miliardi di euro. Per circa tre ore, il viceprocuratore regionale Masimiliano Minerva, titolare del fascicolo, ha illustrato quella che è considerata la cattiva gestione del debito pubblico italiano.

La contestazione riguarda la «negligenza» e l'«imperizia» del Mef nell'inserimento nel contratto con la banca di una specifica clausola di uscita anticipata dai derivati, l'Ate, e nel pagamento a Morgan Stanley, che ne rivendicava l'attuazione, di 3,1 miliardi di euro, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica del Paese, a fine 2011. Il Mef non avrebbe contrastato in nessun modo la pretesa della banca, avrebbe affidato la gestione del debito a un organico inadeguato e non avrebbe previsto alcuna garanzia collaterale al contratto. Secondo gli avvocati difensori del Ministero, invece, la scelta di trattare a lungo e in modo paritario in base a contratti e clausole legittime e utilizzate di prassi a livello internazionale, è stata una scelta oculata. Non perseguirla, «avrebbe provocato la devastazione del mercato finanziario, l'immediata e istantanea perdita di fiducia degli operatori finanziari nella Repubblica italiana, l'esodo degli operatori del debito pubblico e il crollo dell'economia, con effetti irreversibili e devastanti», ha spiegato Antonio Palmieri, uno dei difensori di Maria Cannata.

Le parti sotto accusa hanno ribadito che l'Ate, così come il tipo di derivato sottoscritto con l'opzione "swaption", era stato previsto esplicitamente da un decreto dell'allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, e da una circolare di Mario Draghi, direttore generale di Via XX Settembre.
Antonio Catricalà, avvocato di Morgan Stanley, non ha omesso di cirtare il ruolo di Draghi, a cavallo degli anni Duemila, nelle stanze del ministero. Nel sottoscrivere i contratti e nel ristrutturare il debito con Morgan Stanley, sostengono i difensori, Cannata si sarebbe rifatta a lui. Non è così per il procuratore contabile, che parla invece di un «appunto generico» di Draghi, che non poteva sapere quale sarebbe stato l'utilizzo dei derivati in oggetto. La banca ha anche contestato la giurisdizione della Corte dei Conti nel processo, chiedendo che a giudicare sia la magistratura civile. Sul punto, i giudici decideranno entro 45 giorni. Il collegio dovrà anche decidere se ammettere le parti civili, Adusbef, Codacons e Federconsumatori, costituitasi insieme alla Cgil. Nel caso di ammissibilità, dovrebbero essere fissati i termini per lo studio degli incartamenti e potrebbe essere disposta una consulenza tecnica.
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