Ucciso, fatto a pezzi e gettato nel cassonetto: «Era un pedofilo, meritava di morire»

Ucciso, fatto a pezzi e gettato nel cassonetto: «Era un pedofilo, meritava di morire»
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Martedì 20 Ottobre 2015, 22:37 - Ultimo aggiornamento: 22 Ottobre, 15:37
«Era un pedofilo, meritava di morire». Così in aula Paolo Grassi, condannato all'ergastolo per l'omicidio del docente, ascoltato nel processo a carico del suo presunto complice, Gianluca Civardi.



Il professor Adriano Manesco «per sua stessa ammissione era un pedofilo» ed era «più meritevole di morire rispetto ad altri perché faceva del male alle persone». Manesco, il 7 agosto 2014, era stato strangolato e accoltellato a Milano. Poi Grassi e Civardi avevano nascosto il corpo in un cassonetto.



Grassi, 30 anni, che a differenza dell'amico e presunto complice aveva scelto di essere processato con rito abbreviato e lo scorso 28 luglio era stato condannato all'ergastolo, ha risposto in aula alle domande del pm Maria Teresa Latella e dei difensori di Civardi, gli avvocati Francesca Cotani e Andrea Bazzani, ripercorrendo le fasi dell'omicidio. Ha riferito di aver conosciuto Manesco nel 2012, di ritorno da una vacanza a Venezia, quando assieme a un amico accettò l' invito del docente di estetica in pensione, 77 anni, a bere un caffè nel suo appartamento in via Settembrini. «Fin da subito le sue intenzioni sono state esplicite - ha spiegato - in quanto si è tolto la camicia e ci ha chiesto di spogliarci».



Ha raccontato quindi di aver progettato l'omicidio, nel 2014, assieme a Civardi che, secondo il presunto complice, non aveva mai avuto contatti con la vittima. «Civardi mi disse che prima di morire voleva provare la sensazione di uccidere una persona, perché le altre esperienze che faceva, anche nella sfera sessuale e amorosa, non gli provocavano emozioni», ha riferito. Secondo Grassi, inoltre, Civardi in quel periodo era «molto stressato e depresso». Il trentenne, che all'epoca lavorava come impiegato in un collegio, ha spiegato in aula che «pur non avendo bisogno di soldi» la loro intenzione era quella di impadronirsi dei risparmi del professore e di «lasciare tutto» perché «la nostra vita non ci appagava più». «Io e Civardi volevamo lasciare il lavoro - ha detto in aula - e trasferirci in un posto caldo, in Thailandia o in Brasile».



Il 7 agosto 2014, sempre secondo il racconto dell'uomo, i due hanno acquistato quindi una valigia a Milano e sono andati a casa del professore. «Mentre cercavo nel computer di Manesco i codici della sua carta di credito Civardi ha iniziato a strangolarlo nel salotto - ha raccontato -. Io ho chiuso le tende per evitare che qualcuno ci vedesse, non mi sentivo bene e cercavo di non guardare il sangue».



Per rendere irriconoscibile il corpo di Manesco i polpastrelli erano stati abrasi e la testa era stata chiusa in un sacchetto sigillato con molto nastro adesivo. Una volta fatto a pezzi il cadavere lo avrebbero chiuso nella valigia e gettato in un cassonetto nei pressi della stazione di Lodi. Poche ore dopo la scoperta del corpo i due sono stati però arrestati dalla polizia. Li hanno traditi i frequenti contatti con la vittima e il tentativo, una volta tornati a Piacenza, la città dove vivevano, di sbarazzarsi degli abiti indossati sul luogo del delitto. I difensori di Civardi hanno chiesto una perizia psichiatrica sul loro assistito e i giudici della Corte d'Assise di Milano si esprimeranno sull'istanza nelle prossime udienze.