IL PAPELLO
La «trattativa»? Non c'è mai stata. Il «papello» con le richieste della mafia per fermare le stragi? Non è mai esistito. E la cattura di Totò Riina? Vito Ciancimino non c'entra nulla: fu l'esito di un lavoro investigativo autonomo. A conti fatti, il generale ripete le cose che ha già detto nel processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano dal quale è uscito con l'assoluzione. Lo spunto nuovo è quello che attribuisce a don Vito il ruolo di agente sotto copertura molto vicino a quello di un confidente.
I contatti di Mori con Ciancimino furono quattro, e si svolsero tra agosto e ottobre 1992. Poi il dialogo venne gestito dal procuratore del tempo, Gian Carlo Caselli, e dal pm Antonio Ingroia. Il Ros aveva cercato il contatto con l'ex sindaco perché lo aveva individuato come lo snodo dei rapporti tra mafia e mondo politico-imprenditoriale.
LE DUE INCHIESTE
Era il tempo di Mani pulite a Milano e di un'indagine su mafia e appalti che il Ros, con Mori e Giuseppe Donno, conduceva in Sicilia. Quella era considerata la pista in grado di aprire varchi negli scenari delle stragi di Capaci e via D'Amelio, e Ciancimino era sembrato l'uomo giusto. Mori è convinto che la sua disponibilità a dare una mano corrispondeva anche a un suo interesse personale. Ciancimino cercava di attenuare i colpi della sua vicenda giudiziaria (era sotto processo per mafia e appalti) e accettò di prendere contatti con «l'altra parte» ma chiese alcune precauzioni: gli incontri dovevano avvenire all'estero, il mediatore doveva essere lo stesso Ciancimino e chiese un «occhio di riguardo per i suoi problemi giudiziari». Non ottenne nulla o quasi. Non contribuì alle indagini in modo determinante.
IL FANTOMATICO FRANCO
Ma in compenso - è la tesi di Mori - il figlio Massimo ha messo in piedi un «processo mediatico» parallelo, ha tirato fuori la storia del fantomatico «Carlo/Franco», un funzionario dei servizi di sicurezza che avrebbe assicurato il collegamento con Nicola Mancino e Virginio Rognoni, e ha reso dichiarazioni «a rate» alimentando una famigerata «messa in scena» impostata su un un copione romanzesco. Per Mori c'è una sola verità che lo riguarda: non ha mai «trattato» con nessuno, ha rispettato le regole di un leale investigatore.
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