Il caso Ilva scuote il governo. Anac: «Criticità nella gara»

Il caso Ilva scuote il governo Anac: «Criticità nella gara»
di Giusy Franzese
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Venerdì 20 Luglio 2018, 08:09 - Ultimo aggiornamento: 11:25

Non ha perso tempo l'Anac di Raffaele Cantone. La risposta al ministro Di Maio, che appena l'11 luglio scorso chiedeva - in seguito ad una sollecitazione del governatore della Puglia, Michele Emiliano - di verificare la correttezza della procedura di aggiudicazione dell'Ilva alla cordata AmInvestco Italy capitanata dal colosso mondiale dell'acciao Arcelor Mittal, è arrivata: le criticità nell'iter della gara ci sono. E non sono nemmeno di poco conto: l'Anac le ha trovate nel rinvio di ben sei anni dell'attuazione del piano ambientale, elemento che «avrebbe potuto spingere più imprese a partecipare alla competizione, aumentando il livello di concorrenza e la qualità delle offerte»; nella non attuazione delle scadenze intermedie dello stesso piano ambientale; nella mancata possibilità di concedere rilanci nonostante la cordata perdente AcciaItalia fosse disposta a farli e la procedura iniziale li prevedesse.

L'Anticorruzione però non decreta l'annullamento della gara, ma passa tutto al ministero dello Sviluppo, ricordando che secondo le attuali normative le irregolarità non bastano a far scattare l'annullamento automatico, ma serve una decisione ad hoc dell'amministrazione che ha gestito il procedimento, la quale deve valutare se è preminente l'interesse pubblico allo stop della procedura. Insomma deve essere il ministro dello Sviluppo Economico a decidere. Di Maio, appena ricevuta la lettera di sette pagine dell'Autorità, ha informato il premier Conte e ha subito convocato a Palazzo Chigi una riunione straordinaria dei tecnici «per valutare i successivi passi da compiere».

LO SCENARIO
A parte le scontate polemiche (l'ex ministro Calenda chiede al governo di pubblicare per esteso la lettera dell'Anac) il verdetto dell'Anticorruzione è una bomba che rischia di far saltare in aria oltre due anni di lavoro e riportare il gruppo Ilva sull'orlo del baratro. Se Di Maio dovesse decidere di annullare tutto e ripartire daccapo, infatti, l'Ilva sarebbe costretta a chiudere per mancanza di soldi. I commissari straordinari hanno già fatto un mezzo miracolo nel garantire l'attività della produzione fino a metà settembre prossimo, consentendo così di rinviare la data del passaggio di consegna ai vincitori della gara già fissata per il 30 giugno scorso. Da settembre - senza un ulteriore e improbabile prestito dello Stato - le casse resteranno completamente a secco e non si potranno più pagare nemmeno gli stipendi degli oltre 14.000 dipendenti diretti.

Si fermerebbero anche le bonifiche a Taranto. Per poter rifare la gara - o anche solo per riaprirne i termini - servirebbero molti mesi, forse anche un anno. Insomma la scelta ha solo due opzioni per l'Ilva: la vita o la morte. Nel primo caso si deve necessariamente andare avanti con gli attuali vincitori, nell'altro bisognerà prendere atto che l'Ilva chiuderà per sempre i suoi cancelli. A Taranto come a Genova e nel resto della Penisola. I sindacati sono preoccupatissimi. «È una situazione assurda e senza precedenti - dice Rocco Palombella, numero uno Uilm - occorre fare al più presto chiarezza e trovare prima possibile una soluzione nel pieno rispetto delle regole, che ponga finalmente la parola fine a questo girone infernale». E così Marco Bentivogli, leader Fim-Cisl: «Non spetta al sindacato valutare la regolarità dei procedimenti, quello che chiediamo al governo è di non far trascorrere altro tempo e di prendere una decisione».

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