Lei è una pioniera in cause del genere. Perché lo ha fatto?
«Ero in metropolitana e un passeggero ha lasciato un giornale sul sedile. L’ho sfogliato e ho visto la fotografia di un uomo morto per un tumore causato dal fumo e risarcito. Mi sono detta: “Proprio come il mio Antonio”».
E’ stata una battaglia difficile?
«Sì, molto impegnativa. Ma i nostri consulenti sono riusciti a dimostrare la vera causa della malattia di mio marito. La diagnosi dei medici del resto non lasciava spazio a dubbi: tumore al polmone provocato dal fumo».
Una dura prova per tutta la famiglia
«E’ stato così improvviso che faticavamo a rendercene conto. Quella di Antonio è stata una morte veloce, due mesi appena, ma sono stati due mesi di grande sofferenza. Ha cominciato a sentirsi male e in ospedale gli è stata fatta una biopsia. Il responso non dava speranze: “Un tumore da fumo, la situazione è disperata”, ci hanno detto i medici. E infatti nonostante la chemioterapia nel giro di tre o quattro giorni il tumore aveva intaccato anche il secondo polmone».
Se fossero comparse prima le scritte sui pacchetti Antonio si sarebbe salvato?
«Ha sempre fumato molto ed è rimasto fumatore per tutta la vita. Le scritte potevano anche fargli effetto, ma non tanto da indurlo a smettere».
Di chi è la colpa per una morte come quella di suo marito?
«Ha colpa chi fuma, ma anche chi produce e vende le sigarette. Le società sono perfettamente al corrente che fanno male».