Cassazione: non fu ingiusta la detenzione per l'ex ministro Mannino accusato di mafia

Cassazione: non fu ingiusta la detenzione per l'ex ministro Mannino accusato di mafia
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Venerdì 17 Gennaio 2014, 19:28 - Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 14:35
ROMA - A causa della condotta gravemente colposa dell'ex ministro Calogero Mannino - per aver intrattenuto consapevolmente rapporti con il mafioso Antonio Vella, che aveva a disposizione ben dieci recapiti per rintracciarlo anche su numeri riservati - la Cassazione ha respinto la richiesta del politico agrigentino di essere risarcito per ingiusta detenzione quando, a metà degli anni '90, era sotto inchiesta per concorso esterno. Accusa dalla quale fu definitivamente prosciolto nel 2010. Attualmente, Mannino è sotto processo con rito abbreviato a Palermo per la trattativa Stato-mafia, con l'accusa di minaccia a corpo dello Stato per aver dato il via ai contatti con Cosa Nostra tramite l'ex generale del Ros Antonio Subranni.



Nella sentenza 1921 della Quarta sezione penale si legge che il fatto che Mannino abbia «accettato consapevolmente l'appoggio elettorale di un esponente di vertice dell'associazione mafiosa e, a tal fine, dargli tutti i punti di riferimento per rintracciarlo in qualsiasi momento, integra gli estremi della colpa grave e costituisce, senza dubbio, condotta sinergica rispetto all'evento detenzione».



Contro la pretesa di Mannino, si era costituito il Ministero dell'Economia e l'ex ministro deve rifondergli 750 euro di spese processuali. Contraria al risarcimento anche la Procura della Suprema Corte. I numeri di Mannino in mano a Vella corrispondevano a quelli delle sue segreterie politiche ad Agrigento, Sciacca e Palermo, agli uffici del Tesoro a Roma, alle case dei suoceri a Palermo e Sciacca e alla casa estiva a Porto Empedocle.



Ad avviso della Suprema Corte, l'ordinanza con la quale la Corte di Appello di Palermo - nel marzo 2012 - aveva negato il risarcimento offre «ampia ed esauriente giustificazione dell'espresso convincimento circa la sussistenza di una condotta gravemente colposa del richiedente causalmente efficiente rispetto alla detenzione subita». Nel verdetto si ricorda che lo stesso Mannino «non ha saputo fornire una qualsivoglia plausibile giustificazione del possesso da parte del Vella di tanti numeri di telefono, se non ipotizzare che la ragione potesse risiedere nell'acquisto di qualche libro, giustificazione del tutto incredibile, ove si tenga conto che riesce difficile credere che possono essere forniti anche i numeri telefonici di Roma e che un politico così impegnato potesse occuparsi in quella sede dell'acquisto di enciclopedie».



Tutti questi elementi «giustificavano, secondo la corte territoriale - prosegue la Cassazione - il convincimento che il Mannino avesse consapevolmente intrattenuto rapporti con il mafioso Vella per motivi elettorali e avesse, in particolare, accettato che costui divenisse un suo procacciatore di voti, con l'effetto di ingenerare nella mafia agrigentina la convinzione che egli fosse soggetto disponibile per gli interessi dell'organizzazione». L'ex ministro fu prosciolto perchè mancava la prova, in relazione al presunto patto elettorale del 1980-81 con i boss, «sia in ordine alla concretezza della promessa di una controprestazione, sia in ordine all'effettivo verificarsi di condotte dell'imputato attuative di tale promessa». Mannino è stato in carcere dal 13 febbraio 1995 al 14 novembre dello stesso anno, e poi agli arresti domiciliari dal 15 novembre 1995 al tre gennaio 1997.
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