Scuola, al Senato mancano i numeri così è partito il dietrofront

Scuola, al Senato mancano i numeri così è partito il dietrofront
di Claudio Marincola
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Mercoledì 17 Giugno 2015, 06:19 - Ultimo aggiornamento: 10:01
Mai e poi mai Matteo Renzi avrebbe immaginato un finale così amaro per la «sua» Buona scuola. Con il rischio che oggi alla Ccommissione Istruzione di palazzo Madama il governo possa decidere di ritirare il disegno di legge. E dire game over, reset. Per il presidente del Consiglio e per il Pd è poco meno di uno choc.



Quando il 3 marzo scorso presentò a palazzo Chigi il provvedimento er convinti che mettendo l'istruzione al centro del dibattito e assumendo 100 mila insegnanti (leggasi centomila!) avrebbe rilanciato l'azione del governo e strizzato l'occhio a un mondo amico (consorte compresa). Poco meno di uno spot, dunque.



ANCHE RUBBIA CONTRO È successo il contrario. Un autogol. Ed è un colpo duro da incassare. Forse più del flop delle amministrative, più del tonfo di Casson a Venezia, della perdita dell'“amico” Bracciali ad Arezzo, più della débacle della Moretti in Veneto. Premier e pd non s'aspettavano una reazione «così forte» dai docenti. Meno che mai l'adesione bulgara al blocco degli scrutini.



E si badi bene: non da quei precari che sarebbero rimasti esclusi, reazione prevedibile, scontata. Ma da prof stabilizzati, quelli di ruolo che lo stipendio, sia pure inadeguato, non glielo tocca nessuno. Quando poi è venuto a mancare anche l'appoggio dei Gae, i docenti delle graduatorie ad esaurimento che con il ddl avrebbero ottenuto la cattedra, allora il disorientamento al Nazareno è stato totale.



«Dove abbiamo sbagliato?». Il ministro Giannini qualcosa forse aveva intuito. Quando le dissero che il piano assunzioni sarebbe stato inglobato nel ddl fece buon viso a cattivo gioco. («Anche se il Parlamento correrà gli uffici non faranno in tempo...», confidò ai suoi collaboratori). Un allarme caduto nel vuoto. Dopo le risse alla Camera e gli scontri con il dissidente dem Fassina il problema si è riproposto tale e quale in Senato.



Prima Walter Tocci, poi Corradino Mineo, di area civatiana, hanno fatto capire che senza lo stralcio delle assunzioni quel testo non lo avrebbero votato. La risposta è stata che senza la riforma assumerne 100 mila subito e altri 60 mila dopo con il concorso non avrebbe avuto alcun senso. Ai dissidenti si è aggiunto anche il senatore a vita, il Nobel Carlo Rubbia, che ha presenziato solo al 12,8% delle votazioni in Aula (dati OpenParlamento) ma non ha saltato una seduta della commissione.



ETEROGENESI Risultato: qualcuno si è fatto i conti e ha scoperto che anche facendo le corse pazze, superando di slancio la montagna di emendamenti presentati dal fuoco amico e dalle opposizioni, nel migliore dei casi sarebbe stato un 15 a 15. Un altro pareggio - che a palazzo Madama equivale ad una bocciatura - come già era successo in commissione Affari costituzionali. Se poi aggiungiamo dal ministero di viale Trastevere arrivavano segnali di resa («..ormai siamo fuori tempo massimo») e che nel frattempo i pareri della commissione Bilancio sugli emendamenti, checché ne dica il presidente Azzollini, impegnato a respingere la richiesta di arresto, arrivavano con il contagocce, il quadro è perfetto.

Una batosta annunciata.



Non bastasse, a mettere il bastone tra le ruote ha contribuito anche l'assemblea dei senatori Ap-Ncd convocata ieri sera che ha spinto il presidente della VII commissione a sconvocare la seduta prevista alle 20.30, quando ancora si pensava di fare notte fonda e di battersi per il ddl. Ora si può fare con calma, non c'è più fretta. Hanno vinto i prof: non saranno assunti. Ma c'è infine un altro aspetto affatto trascurabile. Nel portafoglio del governo resterà un miliardo da spendere. Sempre che i precari non ci ripensino e decidano di rimettersi in marcia per andare in direzione opposta e contraria.