Primo ok del Cdm/ L’autonomia del Nord toglie ruolo a Roma

Primo ok del Cdm/ L’autonomia del Nord toglie ruolo a Roma
di Gianfranco Viesti
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Sabato 22 Dicembre 2018, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 18:28
La “secessione del ricco Nord” avanza, apparentemente con il pieno consenso di Lega e 5Stelle. Certo, il Consiglio dei Ministri di ieri non ha approvato nessun documento ufficiale sull’ “autonomia regionale differenziata”, contrariamente a quanto anticipato con proclami bellicosi. Ma ha fissato una nuova scadenza a brevissimo: il 15 febbraio. Tempo comunque guadagnato, per discutere dei tanti problemi di questo progetto politico.
E per discutere anche dei danni irreversibili che un’approvazione parlamentare affrettata può portare all’unità del Paese. Su un aspetto, infatti, non si può dar torto agli esponenti del Governo: si tratta di un’iniziativa che potrebbe cambiare radicalmente il volto dell’Italia. Cui corrisponde, però, una riflessione finora assolutamente approssimativa sulle sue conseguenze, sui suoi costi, i suoi benefici e il loro riparto; sul benessere e sui diritti dei cittadini italiani, specie quelli più deboli; sui rapporti fra i territori; ad esempio sull’indispensabile necessità di rafforzare e rilanciare il ruolo della Capitale, che viene anzi gravemente depotenziata. Proprio dalla conferenza stampa al termine del Consiglio di ieri (disponibile sul sito di Palazzo Chigi), alcuni di questi temi emergono con chiarezza. La retorica che circonda la “secessione del ricco Nord”, riascoltata ieri, è inaccettabile se si vuol discutere seriamente. L’idea che spostare qualsiasi competenza dal Centro alle Regioni sia un bene che non trova nessun riscontro fattuale, anche nella storia degli altri Paesi. La circostanza, come ha detto il presidente del Veneto in un’intervista, che «il federalismo è centripeto, il centralismo centrifugo», non significa nulla. Piuttosto, come riportava correttamente un recente documento di lavoro del Consiglio regionale della Lombardia, gli stati più decentrati tendono ad avere maggiori disparità territoriali, anche se l’evidenza è diversa da caso a caso. Le Regioni in Italia hanno già grandi competenze, e gestiscono rilevanti risorse; spesso lasciando a desiderare per efficienza, a tutte le latitudini. Si può naturalmente discutere di incrementarne alcune, anche in misura differenziata regione per regione; anche se forse sarebbe più utile occuparsi di più efficaci meccanismi di collaborazione verticale (Stato-Regioni) e orizzontale (fra Regioni). A chi propone queste modifiche sta però l’onore di provare, ben al di là di qualche frase retorica, sia i vantaggi che ciò provocherebbe per i cittadini interessati, sia l’assenza di costi e danni per tutti gli altri. A cominciare dalla regionalizzazione della scuola: ma davvero l’Italia sarebbe un paese migliore, con le “scuole regionali” e gli insegnanti alle dipendenze delle Regioni? C’è assolutamente da dubitarne. Sintomatico l’esempio che ha proposto in conferenza stampa il vicepresidente Salvini, magnificando i possibili miglioramenti della sanità con l’autonomia. E’ proprio la sanità, largamente devoluta ormai da molto tempo, che dovrebbe invece far riflettere: sulle evidenti disparità nei diritti alla salute, nei “livelli essenziali delle prestazioni” che vi sono fra gli italiani; sulle diverse difficoltà di fornire un servizio anche per oggettive disparità nelle condizioni sociali e strutturali; sulla persistenza di cattive politiche contro le quali i cittadini sono disarmati. Sui danni cumulativi che può portare un meccanismo di finanziamento squilibrato (tarato solo sull’anzianità e non sulla “deprivazione”): da una recente, approfondita analisi della Banca d’Italia si traggono conclusioni assai preoccupate sugli effetti dei meccanismi di riparto, che stanno aggravando – invece di contrastare – la migrazione sanitaria, e aprendo un solco all’interno del Paese. È straordinario, infine, come vi siano due diversi linguaggi quando si parla dell’autonomia. Cui va per la verità sommato il silenzio totale della giunta di centrosinistra dell’Emilia sui temi più controversi. Se si parla in Veneto, come evidente dalla stampa locale, il tema sono i soldi. L’obiettivo a cui si mira prioritariamente da sempre: quello di trattenere in regione la maggior parte del gettito, togliendolo alla fiscalità generale e al finanziamento dei servizi per gli altri cittadini italiani. Ai loro diritti di cittadinanza, che diventano, nel linguaggio, assistenza, carità agli sventurati: con le eleganti parole del Presidente Zaia: «Finire in assistenzialismo non aiuta nessuno, e non si può premiare Caino e non Abele». Se si parla ai tanti Caino, invece, si glissa. E riparte la retorica del “federalismo magico”, che come la bacchetta di Mago Merlino (visto che siamo in periodo natalizio), sistema tutto: fa diventare tutti più bravi, più buoni, più felici. Ma può un grande Paese avanzato discutere del suo futuro in questi termini? 
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