Lorenzo Fragola: «Nessun controllo sulle mie scelte. Ho perso mio padre e ho ceduto»

Il cantante, 28 anni, racconta la sua esperienza nella difficile gestione di un successo troppo grande e arrivato tutto insieme

Lorenzo Fragola: «Nessun controllo sulle mie scelte. Ho perso mio padre e ho ceduto»
di Mattia Marzi
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Lunedì 4 Marzo 2024, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 5 Marzo, 08:05

«Mi ritrovai in gara al Festival di Sanremo a soli 19 anni, subito dopo X Factor. Ero stato in studio di registrazione una volta. Non sapevo neppure cosa stessi facendo. Ma la minaccia che si prospettava da parte di chi lavorava con me in quel momento suonava più o meno così: "Se non vai a Sanremo rischi di non poter fare questo lavoro a lungo termine". Mettetevi nei panni di un diciannovenne: cosa avrei dovuto fare?».
Lorenzo Fragola, 28 anni, racconta la sua esperienza nella difficile gestione di un successo troppo grande e arrivato tutto insieme. Nel dicembre del 2014 la vittoria a X Factor. Due giorni dopo, l'annuncio della partecipazione tra i big al Festival di Sanremo 2015, sotto la guida di Fedez (che era stato suo mentore nel talent e che con la società Newtopia decise di gestire il management del cantautore catanese): con Siamo uguali, presentata in tempi record per il Festival, si classificò decimo, mentre l'anno successivo con Infinite volte si piazzò al quinto posto. In mezzo due dischi, 1995 e Zero gravity, entrambi pubblicati da Sony. Il terzo, Bengala, sarebbe uscito nel 2018, un anno dopo il tormentone L'esercito del selfie con Arisa e Takagi & Ketra.

È stato tra i primi artisti del mondo della musica a sensibilizzare sul tema della salute mentale, pubblicando due anni fa su TikTok un video, diventato virale, dopo un attacco di panico.

Il cantautore non fa nomi di discografici «perché non c'entrano i singoli: è tutto un sistema che non funziona», ma nel raccontare la sua vicenda non si risparmia.


Che tipo di pressioni ha subito?
«Non mi veniva dato neppure il tempo di ragionare su quello che stavo facendo. Mi facevano proposte e pretendevano risposte secche: "Sì o no". Io non avevo neppure gli strumenti per capire a cosa stessi dicendo "sì" o "no". Alla fine sulle cose che andavano bene non potevo prendermi dei meriti, mentre la colpa delle cose che andavano male ricadeva puntualmente sui miei "no"».


Può fare degli esempi?
«Mi proposero di fare la pubblicità di un'automobile. Dissi: "Ma che c'entro?". Io volevo scrivere canzoni. Un'altra volta mi proposero di scrivere un libro sulla mia vita. Ma che dovevo raccontare, a 20 anni? Quando cominci a dire tanti "no", alla fine vieni percepito come uno difficile».


È stato mai costretto a fare qualcosa?
«È capitato, sì. Non te lo dicono in maniera esplicita, ma ti fanno capire che la rinuncia a quella cosa potrebbe avere gravi conseguenze, soprattutto quando girano tanti soldi».


Fedez, il suo manager, che supporto le diede in quei mesi turbolenti?
«Il rapporto, pessimo, durò pochissimo. Non aveva niente a che fare con il mio modo di vedere le cose. Era stato il mio giudice e in un momento in cui non sapevo di chi fidarmi mi aggrappai a lui. Non avevo molta scelta. Da parte sua non ricevetti supporto».


Quando cominciarono a manifestarsi segni di cedimento?
«Con la scomparsa di mio papà, nel 2021. Andai in terapia per risolvere gli attacchi di panico: ma quelli erano gli effetti di qualcosa di più profondo, una forma di depressione. E naturalmente c'entrava anche il lavoro».


Perché per molto tempo il tema della salute mentale tra gli artisti è stato un tabù?
«Perché prima c'era la paura di essere giudicati, percepiti come membri di una casta di privilegiati che non avevano il diritto di mostrare le proprie debolezze. Ora si è capito che essendo così esposti, siamo più esposti anche alle pressioni. In questo ambiente si è soli. C'è tanta competizione. Le posso garantire che il 90% dei colleghi usciti da un talent sono finiti in terapia: vuol dire che c'è qualcosa di endemico. Chi è ai vertici di questo sistema, a partire dai discografici, dovrebbe farsi un esame di coscienza: così ci portate all'esaurimento».


Che consiglio dà a chi è in difficoltà?
«Di prendersi i propri tempi. E di parlarne. E io grazie alla terapia sono tornato ad amare la musica: per molto tempo era diventata un nemico. A 28 anni ho già visto tutto. Sto lavorando all'ultimo disco previsto dal contratto firmato dieci anni fa con Sony, quando ero un ragazzino alle primissime armi. Poi vedrò cosa succederà».

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