Vogue, il bello dell'Italia

Vogue, il bello dell'Italia
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Venerdì 26 Settembre 2014, 06:08
L'ANNIVERSARIO
Creare, provocare, evocare. Vogue Italia taglia il traguardo di 50 anni di vita con queste tre regole d'oro proposte da Franca Sozzani, carismatico direttore dal 1988, e apre i suoi archivi con la mostra Vogue Archive: Celebrating 50th Anniversary of Fashion (nella sede milanese di Piazza Castello 27, fino al 5 ottobre con visite prenotate al sito http//www.vogue.it/partner/v50). Il primo archivio digitale di moda al mondo («che deve servire», dice Sozzani, «soprattutto per far conoscere la moda ai giovani e sviluppare la loro capacità critica») avvolge le pareti dei locali redazionali con 200 gigantografie d'autore e di supermodelle come Claudia Schiffer, Kate Moss, Linda Evangelista e altre regine dell'immagine e proiezioni in un'area di 700 metri quadri.
LA FORMULA
Sinonimo di moda, stile ed eleganza la rivista creata a New York da Condé Nast all'inizio del '900 è stata definita da Diana Vreeland «un frammento anticipato della biografia di ogni donna». Voleva lavorarci anche Jacqueline Bouvier non ancora Kennedy che vinse un concorso per entrare in redazione battendo 1200 concorrenti ma rinunciò per le ormai imminenti nozze presidenziali. La formula di Condé Nast era la stessa che Hollywood aveva sperimentato nel cinema e, anni dopo, Life nel fotogiornalismo: «creare a qualunque costo qualcosa di memorabile». Nessun grande fotografo si sottrasse all'appello. Alle mitiche edizioni americana, inglese e francese, l'editore milanese Franco Sartori riuscì ad affiancare nel 1964 anche quella italiana (dagli anni 80 in poi la galassia Vogue esplose con la nascita delle edizioni spagnola, tedesca, brasiliana, cinese, indiana...) in sintonia con i trionfi della nostra moda. Vinse la sfida raggiungendo livelli degni della tradizione Condé Nast, cosa non certo scontata. La rivista poteva vantare servizi di Helmut Newton e Horst, Guy Bourdin e Bert Stern, David Bailey e Barbieri e altri maestri dell'immagine. Eppure...
LA SVOLTA
Scomparso prematuramente Sartori, nel 1988 arrivò il ciclone Sozzani. E, con l'energia di un rompighiaccio, fece il clamoroso salto in avanti trasformando una rivista di qualità in un laboratorio di tendenze, idee, innovazioni. Per Vogue Italia fu la definitiva consacrazione internazionale, così come per il suo direttore, premiato giorni fa dall'Ice con l'Italian Icon Award per aver promosso l'eccellenza del made in Italy nel mondo.
Ma come e perché è avvenuta la grande svolta?«Quella rivista», risponde Franca Sozzani, «aveva un notevole livello ma anche un limite: era troppo locale, non aveva una sua identità particolare. Bisognava osare di più, imporre un'immagine più forte, capace di affermarsi su una realtà globale».Il cambio di marcia comportò, invece, la scommessa su una continua sperimentazione che lasciò piuttosto disorientati i lettori. «Sì, all'inizio non è stato facile, ed è comprensibile», ammette il direttore. «Il passaggio da un bel giornale conservatore a un altro più libero e innovativo non poteva avvenire senza scosse o resistenze. La routine è rassicurante. Poi, tutto è stato superato e il nuovo corso è stato capito».
I MESSAGGI
Creare, provocare, evocare. Soprattutto le provocazioni della nuova direzione suscitavano consensi e critiche, ammirazione e dissenso, come quasi sempre avviene in simili casi. «La mia intenzione», dice, «non è mai stata quella di provocare ma di stimolare il lettore e indurlo a una riflessione. The Black Issue, per esempio, il numero del luglio 2008 tutto dedicato alle modelle di colore che è stato il nostro più venduto, voleva sottolineare l'assurdità della loro assenza dalle passerelle quando negli Stati Uniti metà della popolazione è afro-americana. La creatività, poi, è necessaria. La moda è ricerca, cambiamento, apertura verso le novità per andare dai canoni di oggi verso il futuro».
C'è un segreto per fare tendenza? «Non ci sono regole per capire cosa succederà», risponde. «La ricerca è importante ma l'istinto forse lo è ancora di più. E soprattutto bisogna mettersi in gioco, saper rischiare».
Dal 1988, Vogue Italia ha lanciato grandi fotografi come Steven Meisel, Peter Lindbergh. Meisel, un giovane allora promettente ma quasi sconosciuto, ha collezionato un primato da Guinness facendo tutte le copertine della rivista per 26 anni, costruendo vere e proprie narrazioni visive con eclettismo e ironia. «Un servizio di moda», osserva Franca Sozzani, «è una storia, propone un tema, può mandare un messaggio. Come, tra quelli di Meisel, Water & Oil del 2010 contro l'inquinamento o Makeover Madness del 2005 sulle follie della chirurgia estetica. La moda è un formidabile specchio della realtà. È cultura. Va indossata ma anche interpretata e capita».
Massimo Di Forti
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