Il mobiliere friulano in Ucraina tra profughi in hotel e spie: «Operai al fronte, ma resto qui»

Il mobiliere friulano in Ucraina tra profughi in hotel e spie: «Operai al fronte, ma resto qui»
di Lara Zani
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Sabato 16 Aprile 2022, 09:19

A Svaljava, vicino al confine ungherese, la guerra fortunatamente non è ancora arrivata e la speranza è che non arrivi mai, anche se non è raro che si sentano risuonare le sirene e sui telefonini degli abitanti sono state installate app che segnalano i raid aerei. Sono arrivati però i profughi, a migliaia, da città martoriate come Bucha, mentre le fabbriche fanno i conti con un forte rallentamento dell'attività dovuto alle difficoltà di approvvigionamento e al fatto che gran parte degli operai sono stati richiamati al fronte; nelle fabbriche restano quasi solamente le donne. Paolo Bertos, imprenditore friulano originario di Cormons, da una quindicina d'anni ha avviato lassù una piccola azienda nel settore dei mobili. Svaljava conta meno di 18mila abitanti, è a una settantina di chilometri dal confine ungherese e a 200 chilometri da Leopoli.


AZIENDA E FAMIGLIA


Bertos è uno degli imprenditori friulani la cui situazione, in queste settimane, è monitorata anche dal console onorario a Leopoli Gianluca Sardelli. Ma lui, almeno per ora, non ha alcuna intenzione di lasciare la sua azienda e la nuova famiglia che si è costruito a Svaljava, se non per un breve rientro in Friuli in questi giorni di Pasqua. «Qui racconta non sono mai arrivate bombe, anche se le sirene suonano e noi abbiamo installato sugli smartphone la app che segnala i raid aerei. Sono arrivati, invece, tanti profughi, cinquemila in una città di 18mila abitanti: siamo vicini al confine ungherese e in una regione a vocazione turistica nella quale ci sono tanti alberghi. Abbiamo visto gente che è riuscita a scappare da Bucha prima che la città venisse attaccata. La maggior parte dei profughi è solamente di passaggio, altri sono costretti a fermarsi di più. Sono ospitati nelle case e in tutti gli edifici pubblici: asili, palestre, licei, università... Ma ci sono anche un cinquantina di hotel nell'area termale, nei quali alloggiano famiglie più benestanti che si sono a loro volta allontanate dalle città ma che, al contrario della maggior parte dei profughi, possono permettersi di soggiornare in queste strutture. La paura vera, comunque, in questo momento non è quella delle bombe: con la presenza di tanti profughi, non si sa mai con chi si ha a che fare. Fra di loro è accaduto che siano stati identificati anche filorussi mandati in avanscoperta nelle città». Spie, insomma.
Nonostante la distanza dai veri e propri teatri di guerra, la vita per le imprese non è certamente facile, fra difficoltà di approvvigionamento e mancanza di ordini: «Riusciamo a fare qualcosa, ma non certo la produzione standard: lavoriamo al 20 per cento rispetto alla situazione normale, anche perché gran parte degli uomini sono stati arruolati e il personale rimasto è quasi interamente femminile».

Oltre che con i volti e le storie delle migliaia di profughi, la guerra lontana arriva infatti a Svaljava anche con l'arruolamento, e a volte la morte, dei suoi abitanti: «Fra i lavoratori della mia azienda racconta Bertos quattro sono arruolati e si trovano a Zaporizhia, mentre un altro è impegnato in attività logistiche». Grazie ai suoi contatti con il nostro Paese, Bertos è impegnato nella raccolta di materiale: «Mancano le cose più comuni, dai pannolini agli alimenti per i bambini. Siamo riusciti a far arrivare quattro camion dall'Italia grazie alle numerose realtà che ci hanno aiutato, attraversando il confine ungherese e facendo transitare la merce come materiale umanitario».

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