Barcellona, Trapero torna a capo dei Mossos: «Su referendum potevamo agire meglio»

Barcellona, Trapero torna a capo dei Mossos: «Su referendum potevamo agire meglio»
di Elena Marisol Brandolini
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Venerdì 13 Novembre 2020, 19:09 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 19:19

Barcellona. L’ex-capo dei Mossos d’Esquadra Josep Lluís Trapero, che aveva sgominato la cellula jihadista della strage sulla Rambla e governato l’ordine pubblico in Catalogna durante l’autunno catalano del 2017 senza picchiare le persone in coda per votare il referendum, che era stato destituito dal 155, accusato di ribellione per connivenza con l’indipendentismo e quindi assolto con formula piena, è tornato alla guida della polizia catalana. «In questi tre anni, il corpo dei Mossos è andato recuperando la fiducia istituzionale e il mio lavoro proverà a migliorare quest’attitudine. Perché parto da una premessa: che allora tutti avremmo potuto agire meglio, io per primo e non ho problemi a riconoscerlo», ammette Trapero nella sua prima dichiarazione da Major dei Mossos. Un atto di “restituzione”, come lo definisce il governo della Generalitat che gliel’ha proposto; pur nella consapevolezza che, nell’ottobre 2017, Trapero aveva pronto un piano per arrestare Puigdemont se il giudice glielo avesse chiesto.

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Una scelta, quella di tornare all’incarico di un tempo, molto meditata da parte del Major dopo tre anni di accuse, di umiliazioni e di silenzio, rotto solo in tribunale per difendere l’onorabilità dei Mossos.

Ritorna Trapero in una situazione del tutto cambiata rispetto ad allora, in piena pandemia e con le conseguenze di disagio sociale che questa determina; mentre si celebra il processo ai tre superstiti del commando terrorista, responsabile della mattanza di Barcellona e Cambrils. Trapero occupò il centro della cronaca nei giorni drammatici della strage sulla Rambla, gli ci vollero appena tre giorni per sgominare la cellula terrorista. Seppe conquistare i giornalisti, anche quelli della stampa estera, col suo parlare chiaro e autorevole.

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Di allora rimase famosa la risposta data a un giornalista straniero, “Bueno, pues molt bé, pues adiós”, che si era alzato per andarsene, infastidito perché, come usano in Catalogna le istituzioni, rispondeva in catalano o castigliano a seconda della lingua in cui veniva formulata la domanda. Gli toccò già allora difendere la buona fede del corpo di polizia che dirigeva, quando parte della stampa spagnola cominciò un’operazione di discredito dei Mossos, incolpandoli di avere sottovalutato una presunta segnalazione della Cia sul rischio di attentato sulla Rambla, rivelatasi poi falsa. Tanto più che, come si chiarì subito, la strage sulla Rambla era stato un ripiego per i terroristi interessati a ben altri obiettivi e con altri mezzi, se il giorno prima non ci fosse stata l’esplosione nel casale di Alcanar.

E quando a Barcellona ci fu la cerimonia in memoria delle vittime dell’attentato, i catalani deposero fiori per riconoscenza sulle macchine della loro polizia. Poi arrivò l’autunno catalano, con le manifestazioni continue, pacifiche e di massa, il referendum dell’1 ottobre con le violente cariche delle polizie spagnole e la dichiarazione d’indipendenza del 27 ottobre durata appena poche ore. Il governo spagnolo reagì applicando l’articolo 155 della Costituzione che commissariava la Generalitat, Trapero fu destituito dall’incarico, come il governo e gli alti funzionari della Comunità Autonoma.

Mezzo governo finì in carcere, mezzo si rifugiò in esilio all’estero, cominciò il processo al procés che aveva varie ramificazioni. Una riguardava Trapero, accusato dalla Guardia Civil di non avere impedito con la forza la celebrazione del referendum sull’indipendenza e perciò di averlo favorito. Trapero si difese, smentendo il teorema dell’acquiescenza dei Mossos e del loro allineamento alla Generalitat, smontando la costruzione del reato di ribellione proposta dall’accusa, secondo cui, la polizia catalana era uno dei pilastri fondamentali nel progetto di indipendenza.

Parlò sempre come capo dei Mossos, deciso a difenderne il buon nome. E il tribunale che lo ha giudicato ha finito col dargli ragione, screditando la narrazione della Guardia Civil e assolvendolo da ogni accusa. Perché, recita la sentenza, un referendum illegale non giustificava che l’accettazione della legalità si producesse al prezzo di gravi danni alle persone e di una generale alterazione dell’ordine pubblico.

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