Sono due gli aspetti fondamentali che caratterizzano, secondo l’esperto, la personalità della 16enne, ieri presente in aula: «una profonda immaturità e una dipendenza affettiva. Lei ha la tendenza a riempire il vuoto che ha dentro di sé instaurando relazioni di dipendenza nella quali esalta in maniera non realistica le qualità affettive e protettive dell’altro». È con l’idealizzazione della figura del 19enne boxeur che la minore sarebbe riuscita a risolvere i problemi che aveva maturato sotto il tetto famigliare. Nonostante i conflitti, però, dagli esami clinici è emerso che «in tutta la storia della ragazza, nelle relazioni coi genitori e in quella con l’ex fidanzato, il vuoto affettivo non coincide mai una componente distruttiva e un desiderio di annientamento». Insomma, la studentessa di biologia non avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel disegno criminoso messo in atto da Antonio, ma neanche le “armi” sufficienti per sottrarsi al delitto. «Secondo me – prosegue il consulente – è anche una vittima della situazione che si è creata e la dipendenza affettiva non l’ha aiutata a distinguere l’oggettività della persona di cui si era innamorata. Non è possibile, e sfido chiunque a dimostrarlo, che lei sia stata l’elemento trainante della vicenda».
Antonio Tagliata, lo scorso novembre, avrebbe ucciso i genitori di lei a colpi di pistola perchè si opponevano alla loro storia d'amore. Poi la fuga con la fidanzatina, finita alla stazione ferroviaria di Falconara.
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