Da una parte il giornalista di Repubblica che filmava il figlio del ministro dell'Interno su una moto d'acqua della polizia, con tutto il diritto «di collocarsi sulla spiaggia nel punto più favorevole per effettuare le riprese» e cui va «tutto il riconoscimento etico per l'importanza del suo lavoro, fondamentale in un sistema democratico». Dall'altra i tre agenti della scorta del ministro, che provarono a impedirglielo. E se pur lo fecero con «una pressante, anche irrequieta e magari perfino irritante richiesta di 'collaborazione' (in realtà di comprensione per la loro scomoda posizione)», non furono minacciosi o violenti e quindi non commisero reati e anche loro, in fondo, meritano «umana comprensione» per la scomoda posizione in cui si trovarono a operare.
È l'interpretazione di quanto successe al Papeete Beach di Milano Marittima il 30 luglio 2019, nell'ordinanza del Gip di Ravenna Corrado Schiaretti che ha deciso per l'archiviazione dei tre poliziotti incaricati della scorta di Matteo Salvini, in vacanza col figlio in riviera.
E ha operato in modo «eccellente» commenta il giudice, dicendo che «dalla competizione» è «uscito vincente il giornalista» perché «se voleva documentare che il figlio del Ministro dell'Interno era salito su una moto d'acqua della Polizia di Stato e aveva ottenuto da un poliziotto una esposizione sul suo funzionamento, effettuando anche qualche minuto di navigazione, ha raggiunto egregiamente il proprio obiettivo professionale. E le immagini acquisite ne sono evidente testimonianza». È anche vero che «frapporsi alle riprese di un operatore, per impedirgli, con il proprio corpo o anche con l'azione delle mani davanti all'obiettivo, di raccogliere immagini, può essere considerato atto corretto o scorretto, opportuno o non opportuno, ma certamente non è un atto violento».
Né il contesto era minaccioso: i due agenti che si rivolsero al giornalista «non hanno tenuto condotte passibili di suscitare simpatie, erano certamente nervosi (non è dato comprendere se un pò indispettiti per le riprese o per gli atteggiamenti del tutelato), ma deve escludersi che le frasi 'scusa un attimo o l'abbassi o t'a levamo' (con tono non scherzoso o canzonatorio, ma certamente con espressione dialettale cantilenata e poco incisiva) e 'adesso sappiamo anche dove abiti»' (di cui non vi è traccia audio), in quanto provenienti da personale della Polizia di Stato impegnato in un non semplice servizio, possa configurare una minaccia di un male futuro e ingiusto«.