Violenze di Capodanno in piazza Duomo, due condanne. «Le ragazze cadevano sui cocci di vetro, non avevano scampo»

Violenze di Capodanno in piazza Duomo, due condanne. «Le ragazze cadevano sui cocci di vetro, non avevano scampo»
di Claudia Guasco
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Venerdì 30 Giugno 2023, 14:40

Tre anni e dieci mesi di reclusione per il ventenne Abdel Fatah, quattro anni e dieci mesi per il diciannovenne Mahmoud Ibrahim. Queste le condanne inflitte oggi a Milano nei confronti dei due giovani che, per l’accusa, facevano parte del «branco» che la notte di Capodanno del 2022 ha accerchiato e aggredito alcune ragazze, vittime di abusi sessuali. Lo ha deciso il gup Marta Pollicino, al termine del processo con rito abbreviato per violenza sessuale di gruppo. I due imputati, uno assolto dal reato di rapina, dovranno versare una provvisionale di 20 e 30 mila euro a due delle sei vittime, le sole che si sono costituite parte civile.

Senza via di scampo

Ciò che è successo nel cuore della città all’ultimo dell’anno, ha ricostruito l’inchiesta, è una storia di brutalità e violenza, compiuta da ragazzi che puntavano le loro prede, le isolavano dagli amici e ne abusavano «come oggetti». Protetti dall’impunità offerta dal gruppo e mimetizzandosi nella confusione della piazza gremita per i festeggiamenti, Abdel Fatah e Mahmoud Ibrahim hanno agito con altri coetanei, in tutto una trentina, e come ripercorso dal pm Alessia Menegazzo nella requisitoria hanno creato una «barriera umana», un «muro», agendo con la «forza intimidatrice del branco». E nulla potevano fare le ragazze assalite: «Rimanevano paralizzate, in una situazione di angoscia, qualsiasi azione veniva loro impedita. Erano senza via di fuga, senza scampo. Gridavano aiuto, piangevano e nessuno, neanche gli amici, è riuscito a salvarle». Le vittime, ha proseguito il pm, cadevano a terra «sui cocci di vetro» delle bottiglie rotte e «piene di sangue subivano le violenze», con i giovani che «le lanciavano da una parte all’altra come oggetti, come se fossero borse o cellulari». Ma un video girato da una testimone e gli elementi raccolti nell’indagine della squadra mobile, dagli abiti sequestrati alle analisi dei profili social, hanno fatto sì che i giovani venissero identificati.

Il video

Nel corso del processo ha testimoniato, come aveva già fatto nel filone con rito ordinario nei confronti Abdallah Bouguedra, ventiduenne di Torino, un amico della diciannovenne che ha subito gli abusi. Ha detto di avere avuto «paura» a deporre, temendo ritorsioni e ha raccontato di essersi rotto un dito quando ha cercato, senza riuscirci, di salvare la ragazza dalla «barriera umana».

Determinanti le immagini riprese da una testimone con il suo cellulare, che in aula ha ripercorso i momenti più drammatici della notte di Capodanno. «Ho vista la vittima a terra seminuda, si teneva stretto addosso il giubbotto, aveva solo quello, era traumatizzata e piangeva, non si reggeva nemmeno in piedi per la paura», ha riferito. «Mi sono avvicinata pensando ci fosse una rissa, ho iniziato a girare le immagini pensando ci fosse una rissa, poi ho visto la ragazza per terra, le avevano tolto tutti i vestiti e abusavano di lei». E ancora: «La sballottavano da un posto all’altro durante l’aggressione. Quando ho finito di fare quel video mi sono buttata dentro per cercare con le braccia di farle scudo, ma non sono riuscita». Lo scorso 2 maggio la quinta sezione penale del Tribunale di Milano ha inflitto cinque anni e dieci mesi di reclusione ad Abdallah Bouguedra, altro presunto membro del branco imputato per violenza sessuale di gruppo. Con alcuni amici era arrivato da Torino, giunto in piazza Duomo ha puntato la ragazza e l’amica: prima l’approccio, poi il tentativo delle due di allontanarsi, rivelatosi inutile. Il video mostra un giovane con i capelli con le punte bionde e un giubbotto rosso. Le vittime «lo riconoscono sia nell’immediatezza dei fatti che nell’incidente probatorio. Le ragazze accerchiate e molestate ricordavano benissimo quel ragazzo di origine marocchina con i capelli con le punte bionde. L’unico video agli atti riproduce l’imputato sulla scena del crimine», sostiene l’accusa.

«Ragazze, denunciate».

«La vittima dell’aggressione più grave e che oggi non era presente in aula ci ha consegnato un messaggio: denunciare, non avere paura, perché la giustizia comunque funziona», affermano Silvia Allai e Carlo Pellegri, i legali delle due giovani parti civili al processo in abbreviato. «Loro hanno avuto la forza di denunciare» e nel loro doloroso cammino verso la verità sono state aiutate da «un’empatia da parte della Procura che per questa tipologia di reati non era scontata. L’altra nostra assistita ha detto: “Ho avuto la sensazione di non essere sola”».

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