Covid, la sociologa: «La seconda ondata ci fa diventare egoisti e agire senza responsabilità»

Covid, la sociologa: «La seconda ondata ci fa diventare egoisti e agire senza responsabilità»
di Rosario Dimito
7 Minuti di Lettura
Lunedì 25 Gennaio 2021, 21:01

«Durante la prima fase di questo lock down, le famiglie hanno galleggiato in un tempo sospeso, sebbene la troppa convivenza abbia esasperato il bisogno di libertà, tanto che a partire da questa estate sono esplosi tradimenti e abusi di alcool e droga». Chiara Narracci è una sociologa familiare di Roma e con il “iorestoacasa” ha incrementato il giro dei clienti. «Molti mi chiamano, ma pochi pagano, ma questo è un altro discorso, lasciamo perdere».

La seconda ondata rassomiglia alla prima?
«No, essa è caratterizzata dal cinismo, dalla paura, non solo del virus ma anche delle correlate difficoltà economiche e relazionali, dal silenzio, dalla solitudine, dalla rabbia e dall’egoismo di pretendere di fare ciò che si vuole al di là delle responsabilità. In queste convivenze coatte vedo tanti coniugi che si scoprono estranei davanti agli occhi sgranati ed esterrefatti dei figli che assistono a scenate quotidiane per motivi futili, perché dietro c’è ben altro».

Cosa? Faccia qualche esempio. «Prendiamo Giulia, una impiegata di circa 38 anni, della provincia di Roma, con un marito dipendente di una delle prime banche italiane, coetaneo. “Mi guardava e desiderava sempre meno”, mi ripeteva con ossessione. In primavera per combattere la noia, si è sottoposta a sessioni quotidiane di ginnastica e ad una dieta ferrea che l’ha portata a vedersi, per la prima volta, come una bella donna in grado di attirare i desideri e le fantasie degli uomini e delle donne. Vivendo con estrema frustrazione il sentirsi trasparente in casa, oggi si dà con compiacimento vivendo come un diritto l’andare incontro al proprio piacere anche se questo ha come contro altare la sofferenza e il disorientamento dei figli che si vedono come un intralcio alla felicità materna. “Devo confessarle, dottoressa Chiara, che in ufficio piaccio e qualche collega fa allusioni, sono anche uscita con lui furtivamente qualche volta, non è successo niente”. Poi dopo una pausa, aggiunge: “Niente di serio, mi capisca.....” e non è andata oltre». La consulente familiare di storie da raccontare ne ha altre, perché a lei i clienti si aprono più che dal prete.
«Alfredo è un avvocato di quasi 50 anni, sempre di Roma, lavora in una law firm, si occupa di diritto civile. E’ sposato da 16 anni con una collega (Claudia), di altro studio romano che si occupa di diritto amministrativo, di sette anni più piccola e a suo dire ancora molto piacente ma petulante. Pur di non sentire i disappunti continui della moglie sia in merito al suo essere uomo sia al suo essere padre, quando è in casa preferisce bere e dormire, riemergendo sempre più ovattato e meno reattivo generando sempre più fastidio e disappunto da chi lo vorrebbe più partecipe alla via familiare. Andando ad innescare un meccanismo senza ritorno nel quale non ci si ferma a fare mente locale su come ci si pone ma ci si fissa solo su quanto poco si prende dall’altro». Le storie tra coppie hanno più o meno tutte lo stesso leit motiv.
«Pietro ha 34 anni, fa il medico della mutua, approfitta delle lunghe fughe in bagno della moglie - chi sa a far cosa!”Non capisco cosa faccia, mi prende la tentazione di scrutarla dal buco della serratura” -, per combinare on line incontri clandestini con coppie che cercano di ravvivare il loro rapporto facendo partecipare all’atto sessuale un terzo incomodo, vuoi come osservatore passivo, vuoi come attivo sostituto, vuoi come socio nel creare piacere fisico e dolore emotivo. Perché lo fa? Per sentirsi vivo, dal momento che in casa vive come un automa che tende a dire sempre di sì per continuare a far ciò che vuole altrove. “Con mia moglie che è una impiegata, i rapporti si stanno diradando”, rivela ma a differenza di altri uomini, la cosa sembra non turbarlo. Anche qui se si desse il permesso di essere autentico e di costruire una relazione intima con la moglie non avrebbe bisogno di appagarsi altrove». 
C’è anche chi come Filippo, 40 anni, abruzzese, dipendente di un’azienda agricole, in questo lungo tempo buio ha perso i genitori e con essi la sensazione di avere le spalle coperte, nel mentre è diventato padre e vive con orrore questa nuova dimensione nella quale si percepisce inadeguato: Filippo che è sposato da 4 anni con Angela, tre anni in meno, parrucchiera, si rifugia in festini privati a base di alcool e droga pur di evadere, in casa dà il suo peggio, non risparmiandosi in insulti e minacce di abbandono continue, nella speranza che la moglie lo sbatta fuori dalle sue responsabilità». 

Ma la pandemia ma messo in crisi famiglie intere, in isolamento, che si perdono, ogni membro del nucleo si chiude nel proprio mondo virtuale».

Si tratta di situazioni che amplificano le conseguenze del lockdown. «Nelle case il silenzio è assordante, ma si è pronti a uno scatto d’ira quando si viene riportati alla realtà, da domande banali: “porti giù il cane per favore?”, oppure “manca il pane, vai tu a comprarlo?”. La risposta tipica, carica di tensione è sempre la stessa: “perché io?”. Poi ci sono genitori stanchi di ripetere: “spengi il telefonino o la play- station”, specie a tavola, provocando risposte standard: “aspetta” o “uffa che noia, hai rotto le p.....”». La Narracci spiega anche che è stata interpellata, separatamente, dalla figlia di 16 anni, di una di queste famiglie frustrate: “Loro ci rimproverano se usiamo lo smartphone, mi è capitato di trovare papà e mamma, separatamente a chattare con la scusa di andare in bagno”. Capita anche questo nei nuclei reduci da una pandemia devastante non solo per la salute ma anche per le tasche e l’equilibrio mentale».

La tecnologia è sicuramente utile per navigare nel sapere, mantenere o allacciare nuove conoscenze, ma è un male perché ci abbrutisce e rende asociali.
«Si passano ore intere buttati sui divani - prosegue la sociologa - o sui letti, ognuno nella propria stanza, a scorrere immagini postate da altri o a chattare di nascosto dagli altri, il tutto ad una velocità esasperata, al punto che se non si risponde immediatamente quando si viene chiamati, generiamo l’ira dell’altro, anonimo interlocutore che ci aggredisce dicendo: “tu non mi ascolti”. In realtà non c’è nemmeno il tempo di realizzare la situazione, o di far arrivare l’informazione al cervello. E così, giorno dopo giorno ci si vive sempre più con fastidio e frustrazione. Il silenzio fa rumore, dando la precedenza a sensazioni di estraneità».
L’indagine della sociologa diventa penetrante. «Nella solitudine, vengono amplificati i contrasti, le tensioni. “Siamo troppo diversi” è la frase consueta che manda all’aria anni di equilibri costruiti sull’acqua, dimenticando che la benzina del matrimonio è la ricerca di scoprirsi ogni volta diversi. Gianfranco è un mio cliente di anni e anni, è pensionato delle forze armate, dove ha raggiunto gradi elevati. Si mantiene ancora bene fisicamente e con il cervello. Mi dice: “Dottoressa, La solitudine fa pensare e riporta alla mente ciò che si è vissuto, i pensieri si fanno ossessivi, con essi si scatenano ansie e paranoie”. Marta, 20 anni fidanzata con Vittorio, si giudica e si condanna come superficiale perché lusingata dai commenti sui social. Sensazioni simili le riporta anche Claudio, studente fuori corso anche lui, fidanzato con Simona, disoccupata pechè per il virus l'azienda dove faceva la segretaria ha chiuso. Claudio si sente sporco o "malandrino" come dice lui se e tutte le volte in cui l’occhio gli cade su un’altra bella ragazza, eppure la sua non è male. Ginevra, 28 anni, della provincia di Latina, addetta alla reception di un hotel, invece, si convince di essere lesbica non perché provi attrazione sessuale verso le donne ma perché non le passa inosservato l’altrui fascino: “Quando sono davanti allo specchio mi interrogo, ma la risposta è sempre la stessa: mi piacciono gli uomini e preferisco andare con loro”.

Questo è il mondo della seconda ondata, diversa dalla prima, non solo perchè da marzo a maggio 2020 siamo stati chiusi a chiave nelle nostre case e adesso, pur con i diversi colori, riusciamo a ritagliarci una vita che non è la nostra. «Dobbiamo abituarci, da quel che si capisce, ne abbiamo ancora per molti mesi, forse un anno» conclude la Narracci, «non ci sarà terza ondata, ma un protrarsi del periodo di frustrazione e angosce, dobbiamo convincercene».

© RIPRODUZIONE RISERVATA