Fosse Ardeatine, strage senza giustificazioni: nessuno dimentichi la disumanità delle guerre

Non c'era alcun diritto di rappresaglia e di certo non di quelle proporzioni. Persino i tedeschi ebbero difficoltà a trovare militari

Fosse Ardeatine, strage senza giustificazioni: nessuno dimentichi la disumanità delle guerre
di Paolo Pombeni
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Sabato 23 Marzo 2024, 07:18 - Ultimo aggiornamento: 07:19

Il 1944 è stato un anno fatale nella storia italiana, per cui la ricorrenza del suo ottantesimo ripropone molti eventi tragici ed emblematici. Certamente l'eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto dai tedeschi il 24 marzo di quell'anno, è uno dei più tremendi, essendo impossibile in una materia così estrema stabilire quale lo sia stato più di tutti gli altri.

La storia è nota nelle sue linee schematiche, ma meno nelle sue articolazioni ed implicazioni. Il 23 marzo un attentato dei GAP partigiani in via Rasella aveva coinvolto il battaglione "Bozen" che faceva parte delle formazioni di "polizia militare" per la lotta antipartigiana. Si trattava di cittadini sudtirolesi che servivano sotto il III Reich e già questo costituisce un elemento spesso lasciato in ombra. A rigore si trattava ancora di cittadini italiani, poiché gli accordi fra Mussolini ed Hitler per le "opzioni" di membri delle popolazioni di lingua tedesca dell'Alto Adige a favore della Germania non avevano ancora trovato attuazione (anzi: per il procedere della guerra non la trovarono mai, lasciando in eredità alla nostra repubblica un problema non piccolo). Comunque dopo l'8 settembre il Sudtirolo e il Trentino erano stati aggregati alla Germania (il cosiddetto Alpenvorland) e gran parte della popolazione di lingua tedesca di quelle zone si era molto volonterosamente identificata con le forze naziste, in reazione alle vessazioni che avevano subito sotto il regime fascista.

LE QUESTIONI APERTE

L'attentato provocò immediatamente 30 morti a cui si aggiunse il decesso di altri tre soldati nelle ore seguenti. Le truppe di occupazione tedesche, che avevano il pieno e sostanzialmente esclusivo controllo di Roma (che pure era stata dichiarata "città aperta" nella speranza di tenerla fuori dagli scontri militari), interpretarono l'attacco come qualcosa che doveva essere "vendicato" nella maniera più impressionante possibile.

Qui si apre la prima delle grandi questioni che pone questo terribile episodio.

Si è sostenuto che esistesse un diritto alla rappresaglia consentito dal diritto internazionale. Ciò è molto discutibile, anzi sostanzialmente falso. La rappresaglia come forma di controguerriglia è un terreno più che scivoloso. Chi sostiene che sia consentita deve richiamare alla presenza di una certa "proporzionalità" nelle sue dimensioni e in forme di esecuzione che possano essere considerate per così dire civili. Anche a voler accettare questa impostazione (non suffragata da una lettura delle leggi internazionali), nella rappresaglia organizzata dalle autorità tedesche dopo l'attentato mancarono totalmente entrambi i requisiti.

La fissazione di 10 italiani da sopprimere per ogni caduto tedesco non risponde ovviamente a nessun criterio di proporzionalità, se non a quello di immaginare i caduti membri di una razza superiore e le vittime di una inferiore. Peraltro sembrerebbe (documenti certissimi non ce ne sono) che inizialmente Hitler ed alcuni alti comandi avessero chiesto un rapporto di 50 ad 1: una follia che non poté trovare soddisfazione.
In secondo luogo le persone da sottoporre alla rappresaglia avrebbero dovuto essere in qualche modo direttamente responsabili dell'attentato. Trovare 330 individui che rispondessero a questo requisito era palesemente impossibile. Come sappiamo ci fu una folle corsa a trovare i candidati all'esecuzione: inizialmente si pensò di cavarsela pescando fra i condannati o condannabili alla pena capitale, ma il numero risultò troppo piccolo. Si allargò così in ogni direzione, includendo tutti i detenuti sospettati di far parte di formazioni di resistenza, i detenuti di religione ebraica (75 in totale), persino alcuni detenuti per reati comuni e qualche rastrellato a caso dell'ultima ora.

Ciò che però colpisce è che questa strage fu percepita subito come qualcosa di indecoroso (per non dire di peggio) dagli stessi occupanti tedeschi. Ai condannati non fu comunicata la loro sorte e si operò perché tutto potesse avvenire senza pubblicità: per questo furono scelte le cave delle Fosse Ardeatine, nelle cui gallerie sarebbe avvenuta la mattanza per poi farne saltare gli ingressi e celarne il contenuto. I comandi tedeschi ebbero notevoli difficoltà nel trovare militari disponibili per eseguire la strage: in diversi si rifiutarono e alla fine tutto fu affidato ad una squadra di 74 uomini (13 ufficiali, 60 sottufficiali e 1 soldato semplice) comandati dal colonnello Kappler e dal capitano Priebke che dovettero per dare l'esempio partecipare essi stessi alle esecuzioni (individuali, in teoria con un colpo di pistola alla nuca).

Che si sia trattato di una strage senza giustificazioni non esistono dubbi. Le guerre hanno di frequente a che fare con episodi di disumanità, ma nell'eccidio delle Fosse Ardeatine siamo di fronte ad un evento di proporzioni spaventose. Non si è trattato di reazioni a caldo da parte di truppe impegnate in combattimento, si è di fronte a rappresaglie indiscriminate verso persone in buona parte estranee all'attentato, si è agito con modalità che hanno trovato repulsione persino in alcuni dei militari coinvolti nell'eccidio.
Difficile non cogliere appieno la drammaticità di quel che avvenne quel 24 marzo 1944. I tentativi di scaricare parte della responsabilità di quanto era avvenuto sul gruppo di partigiani che organizzò l'attentato e che si ritiene dovesse essere consapevole del rischio di rappresaglia a cui sottoponeva la popolazione non reggono ad un realistico esame storico. La guerriglia contro truppe di occupazione contempla atti di sabotaggio contro quelle formazioni e non si poteva certo immaginare una reazione così bestiale (difficile trovare un diverso aggettivo).

Certamente all'interno della resistenza italiana ci fu un dibattito sulla efficacia e sulla opportunità di azioni di attacco mortale con agguati ad esponenti delle truppe tedesche e delle forze fasciste. Sebbene nessuna componente escludesse del tutto azioni di questo tipo, ci furono tensioni fra una impostazione della lotta partigiana che le contemplava come giustificate e indiscutibili in ogni caso (specialmente da parte delle formazioni comuniste, in cui il ricordo delle durezze della lotta rivoluzionaria in Russia e poi in Spagna era molto performante), ed una impostazione che voleva limitarle al massimo per puntare piuttosto alla lotta in campo più o meno aperto (specialmente da parte delle formazioni democristiane e indipendenti). Poi, come è inevitabile, nell'evoluzione della lotta partigiana esercitò un effetto calmieratore la concentrazione del comando in una organizzazione almeno tendenzialmente comune fra le varie componenti resistenziali così come la riflessione sulle conseguenze che potevano avere i diversi modi di condurre la lotta.
Resta che il terribile eccidio delle Fosse Ardeatine qualche insegnamento deve pur lasciarcelo: che la disumanità nella condotta delle guerre, specie quando sono in campo dittature totalitarie, è un fattore che tende sempre ad essere presente; che il controllo sui metodi e sulle asperità dei conflitti è un fattore che bisogna sempre con caparbietà mettere in campo.
Ma in definitiva su tutto si staglia la drammaticità delle vicende umane. Rivedere ancora una volta "Roma città aperta" di Rossellini può essere un ottimo esercizio spirituale.
 

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