Coronavirus, Trivulzio, l’inchiesta punta sulle falle nei controlli

Coronavirus, Trivulzio, l’inchiesta punta sulle falle nei controlli
di Claudia Guasco
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Lunedì 20 Aprile 2020, 11:11 - Ultimo aggiornamento: 13:18

«Appena ci saremo fatti un quadro della situazione, cominciamo con gli interrogatori», spiegavano i magistrati qualche giorno fa. Ora, dopo una doppia spedizione per l’acquisizione di documenti negli uffici della Regione Lombardia e la perquisizione al Pio Albergo Trivulzio, l’inchiesta sulle morti per coronavirus accelera e cominciano le audizioni in videoconferenza dei dipendenti della Baggina.

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Medici, infermieri e operatori sanitari che hanno denunciato la completa mancanza di dispositivi di protezione a norma e di tamponi, che hanno raccontato di essere stati minacciati perché mettevano la mascherina «spaventando i pazienti» e hanno riferito dell’inadeguatezza della Baggina nella tutela degli anziani ospiti in piena epidemia Covid-19.

IL RUOLO DELLE ATS
Dopo la massiccia raccolta di carte i magistrati lavorano alla definizione di ruoli e responsabilità. Una catena che parte della Regione, ha il suo braccio operativo nelle Agenzie di tutela della salute e si chiude con le Rsa, nelle quali secondo un rapporto i contagiati sono 7.252. Solo in provincia di Milano, considerando quindi anche il Trivulzio, gli anziani positivi sono 2.273, significa che un malato su sette è in casa di riposto. Da qui il numero anomalo di decessi, quasi 200 al Pio Albergo in un mese e mezzo. Gli investigatori si muovono su due piani: l’adeguatezza delle direttive della Regione per contenere le infezioni nelle case di riposo e la decisione di spostare qui i malati Covid in uscita dalle terapie intensive e sub intensive; il rispetto delle regole da parte della Baggina. In mezzo c’è il ruolo delle Ats, le Agenzia di tutela della salute: sono otto in tutta la regione, hanno ventisette diramazioni locali e rappresentano la rete territoriale con cui il Pirellone gestisce la sanità. Una rete piena di buchi, hanno accusato i medici degli ospedali in piena emergenza, che si sono ritrovati le terapie intensive al collasso poiché l’infezione non è stata gestita sul territorio. 

IL RUOLO
L’Ats ha un ruolo fondamentale nelle indagini per epidemia colposa e omicidio colposo al Trivulzio, con il direttore generale Giuseppe Calicchio destinatario di un avviso di garanzia. Nella delibera dell’8 marzo la Giunta lombarda, aprendo le porte delle Rsa ai Covid «a bassa intensità», incarica le Ats di individuare «strutture autonome dal punto di vista strutturale (padiglione separato dagli altri o struttura fisicamente indipendente) e dal punto di vista organizzativo». Ma secondo le denunce degli operatori sanitari, i pazienti con sintomi sospetti e quelli sani sono tutt’ora negli stessi reparti e un vero e proprio padiglione per ospiti Covid non c’è mai stato. Primo perché il Trivulzio ha sempre sostenuto di non avere accolto pazienti positivi da altri ospedali, e poi per il fatto che i tamponi sui pazienti alla Baggina vengono fatti da pochi giorni. E le referenti delle Rsa per i test sono le Agenzie di tutela della salute. La Regione Lombardia ha annunciato chiarezza su ciò che è avvenuto al Trivulzio, ha creato una commissione di verifica e ha affidato il mandato alla Ats Città metropolitana di Milano, proprio l’ente che avrebbe dovuto verificare i requisiti strutturali della Baggina ed effettuare i tamponi.

L’ANGOSCIA DEI FAMILIARI
Adesso i test sono arrivati anche al Pio Albergo, come fa sapere Gianfranco Privitera, la cui mamma è ricoverata alla Baggina. Ha lanciato una petizione che ha già raggiunto le 50 mila firme: «Quello che più conta è che stiamo salvando vite umane: finalmente è stata abbattuta la sciagurata direttiva che non consentiva l’utilizzo dei tamponi nelle Rsa e da qualche giorno vengono eseguiti ( 100 al giorno al Trivulzio, ma devono aumentare)», scrive. 

Intanto al Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio continuano ad arrivare decine di testimonianze di familiari che hanno perso un loro caro o preoccupati per i loro anziani ricoverati. Il promotore Alessandro Azzoni ieri è riuscito a parlare con la mamma in una videochiamata, l’angoscia attanaglia i familiari dei degenti che non sanno cosa stia succedendo tra i reparti della Baggina. Il personale medico si spende senza risparmiarsi, spiega il Comitato, ma ormai è un problema di sopravvivenza dei tanti nonni ricoverati: su mille pazienti, 280 degenti sono in osservazione, il 40% del personale socio sanitario è in malattia e la gestione dirigenziale preoccupa.
 

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