Autonomia anche senza Lep, Calderoli: «Bloccano la riforma, non possiamo fermare la legge per definire i diritti»

Il Senato approva un ordine del giorno: chiede di fare presto, nonostante i dubbi

Autonomia anche senza Lep, Calderoli: «Bloccano la riforma, non possiamo fermare la legge per definire i diritti»
di Andrea Bassi
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Martedì 25 Luglio 2023, 23:11 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 08:42

C’è una fretta sospetta con la quale si vuole chiudere la partita dell’autonomia differenziata. L’ultima forzatura è l’ordine del giorno della maggioranza al Senato che chiede di «fare presto». Con il ministro Calderoli che, dopo la bocciatura della richiesta dell’opposizione di definire preventivamente i livelli di assistenza a tutela di tutte le Regioni, esce allo scoperto: «Pretendere che prima di votare emendamenti si possano definire centinaia di Lep è un tentativo di bloccare la legge». Insomma, tanti saluti all’uguaglianza dei cittadini. In una prima versione del testo di maggioranza c’era un collegamento diretto tra il progetto leghista di devoluzione e quello del presidenzialismo caro a Giorgia Meloni. Poi questo collegamento è stato cancellato. Ma la fretta sull’autonomia resta.

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LE OBIEZIONI

Allora, forse, vale la pena rimettere in fila i fatti. In Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove è in discussione il disegno di legge Calderoli che è la premessa all’autonomia differenziata chiesta da Veneto e Lombardia, la stragrande maggioranza degli oltre 60 auditi sul tema, nonostante il tempo di parola sia stato limitato a soli otto minuti risposte incluse, ha bocciato il progetto.

Lo ha fatto la Confindustria, chiedendo che le competenze strategiche come quelle sulle reti energetiche o sulle infrastrutture rimanessero allo Stato. Lo ha fatto la Banca d’Italia, sottolineando i rischi per i conti pubblici. Lo ha fatto l’Ufficio parlamentare per il Bilancio. Hanno contestato l’iniquità del progetto i sindacati, fior di costituzionalisti, economisti e centri studi come la Svimez. Persino la Commissione europea nelle sue pagelle sull’Italia si è detta preoccupata del progetto autonomista. È difficile ritrovare, a memoria, un disegno di legge così largamente e profondamente criticato, eppure così ostinatamente portato avanti a dispetto delle innumerevoli ragioni che consiglierebbero prudenza. Per capire ancora meglio, bisogna gettare uno sguardo non solo a quello che accade in Parlamento, ma a quello che succede in un “comitato” extraparlamentare, composto da sessantuno membri guidati dall’ex giudice della Consulta Sabino Cassese, e a cui è stato demandato il compito di fissare i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini a prescindere dal luogo dove vivono. Solo una volta fissati i Lep, è la linea, l’autonomia potrà partire. Ma è una scelta discutibile. Fuori dalle aule del Parlamento si decide, senza nessun dibattito pubblico, solo per citare pochi esempi, se un bambino delle elementari ha diritto al tempo pieno oppure no, quanti alunni devono esserci in una classe, quanti posti di asilo nido in ogni Comune, se per i tempi di una Tac negli ospedali vanno bene le regole attuali o se ne possono pensare delle migliori. Nessuno dei documenti prodotti da questo comitato oggi è stato reso pubblico. Il presidente Cassese ha rifiutato l’invito della Commissione Affari Costituzionali del Senato per riferire sul lavoro dei “saggi”. Una convocazione che era arrivata dopo la dimissione, in polemica con il lavoro del comitato stesso, di quattro dei suoi più autorevoli membri: l’ex ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini, l’ex Presidente del Consiglio e della Consulta, Giuliano Amato, l’altro ex Presidente della Corte, Franco Gallo, e il Presidente emerito del Consiglio di Stato Alessandro Pajno. Ed è importante ricordare e ribadire le ragioni delle clamorose dimissioni. I quattro avevano sottolineato come il comitato Cassese stesse predisponendo solo i Lep necessari a far partire l’autonomia delle Regioni del Nord, non tutti i livelli essenziali delle prestazioni che vanno garantiti ai cittadini italiani.

I NODI

Spieghiamo ancora meglio. Veneto e Lombardia chiedono l’istruzione? Allora si definiscono gli standard da assicurare per le aule, il numero di alunni, le mense e così via, in modo che la materia scuola con le sue risorse possa essere trasferita alle Regioni. Ma il rischio è quello di creare diritti di serie A e di serie B. La pensione minima a 600 euro erogata dallo Stato, per esempio, è un Lep oppure no? L’illuminazione pubblica che un Comune deve garantire, è un diritto oppure no? E un certo numero di poliziotti per la sicurezza delle città? Ma perché è importante definire non solo i Lep che servono a Veneto e Lombardia, ma tutti i diritti di cittadinanza? Perché se c’è da tagliare qualche spesa per riequilibrare il bilancio pubblico, lo Stato avrà meno libertà di agire su ciò che ha definito come “livello essenziale di prestazione”, e soprattutto se ha trasferito anche le risorse alle Regioni. A quel punto non resterà che tagliare ciò che Lep non è: le pensioni, gli stipendi delle forze dell’ordine o degli statali in generale, le spese dei Comuni. Sull’autonomia non si può avere fretta perché alle viste ci sono le elezioni europee. In gioco c’è molto di più: i diritti degli italiani. 

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