COSTITUITA UN’IMPRESA
Questo però per l’Agenzia delle entrate è irrilevante. Il traffico di stupefacenti organizzato dal gruppo deve essere ritenuta un’attività organizzata in «forma di impresa diretta alla cessione di beni al dettaglio e, come tale, soggetta all’imposizione ai fini dell’Irpef, dell’Iva e dell’Irap». E così a tutti e 24 i soci dell’attività criminale è arrivata una cartella esattoriale relativa alle imposte non versate per le annualità 2015 e 2016. Secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate, il sodalizio criminale nel 2015 avrebbe incassato dalla vendita di hashish e cocaina 4.781.700 euro e 3.920.700 euro l’anno successivo per la vendita a 1,5 euro a dose (oltre 2,6 milioni quelle messe sul mercato) di più di 186 chili di hashish. Un calcolo semplice realizzato mettendo i fila le cifre raccolte ascoltando le telefonate tra i componenti della banda, che si mettevano d’accordo tra loro per acquisti e cessioni. Il valore di mercato è poi stato determinato anche dalla purezza dello stupefacente immesso sulle piazze di diverse province italiane. Così si è arrivati a quantificare i redditi per i quali i 24 soci, secondo il fisco, avrebbero dovuto pagare le tasse. L’accertamento degli ispettori ha così portato a calcolare che per il 2015 non è stata incassata un’Iva, l’aliquota è quella del 22% così come avviene per gran parte dei prodotti, pari a 1.051.974 euro; per il 2016 invece l’Iva dovuta allo Stato si sarebbe fermata a 862.554 euro. Denaro mai riscosso e che ora il fisco vuole incamerare: in questo modo i proventi dell’attività di spaccio entrerebbero a fare parte del bilancio dello Stato.
«REDDITI DA ATTIVITA’ ILLEGALI»
«Valuteremo i ricorsi del caso – dice l’avvocato Gianbattista Scalvi, legale di un imputato originario del Marocco e residente a Brescia – si potrebbe percorrere la strada dell’accertamento con adesione.
Una sorta di accordo tra contribuente e ufficio che può essere raggiunto anche dopo l’emissione dell’accertamento. La riflessione che sembra imporre questo caso è che lo Stato è pronto ad appostare nel suo bilancio i crediti d’imposta provenienti dai redditi che derivano da attività illegali. Se la vicenda processuale dovesse concludersi con l’assoluzione la presenteremo all’Agenzia delle entrate, in caso di condanna invece chiederemo il perché non possano essere considerati anche i costi sostenuti dalla società».
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