Cartella dell'Iva agli spacciatori: per il fisco la banda era un'impresa di beni al dettaglio

Cartella dell'Iva agli spacciatori: per il fisco la banda era un'impresa di beni al dettaglio
3 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Ottobre 2018, 18:07
MILANO L’Agenzia delle entrate ha presentato il conto a 24 trafficanti di droga, nordafricani e albanesi, per i guadagni, mai dichiarati, della loro attività illecita. Si tratta di soggetti che saranno processati a Trento nelle prossime settimane. In base ai sequestri di droga registrati durante l’inchiesta della procura di Trento, il fisco ha stabilito che il gruppo avrebbe venduto 150 chili di droga tra hashish e cocaina guadagnando 4 milioni e 781.000 euro. L’Agenzia delle entrate per l’anno 2015 ha chiesto al gruppo più di 3 milioni di euro, mentre per il 2016 il conto è di poco superiore al milione di euro. Per il fisco quella che ha costituito la banda è una società a tutti gli effetti, che come finalità aveva quella di commercializzare beni che lo Stato però considera fuorilegge: hashish e cocaina.

COSTITUITA UN’IMPRESA
Questo però per l’Agenzia delle entrate è irrilevante. Il traffico di stupefacenti organizzato dal gruppo deve essere ritenuta un’attività organizzata in «forma di impresa diretta alla cessione di beni al dettaglio e, come tale, soggetta all’imposizione ai fini dell’Irpef, dell’Iva e dell’Irap». E così a tutti e 24 i soci dell’attività criminale è arrivata una cartella esattoriale relativa alle imposte non versate per le annualità 2015 e 2016. Secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate, il sodalizio criminale nel 2015 avrebbe incassato dalla vendita di hashish e cocaina 4.781.700 euro e 3.920.700 euro l’anno successivo per la vendita a 1,5 euro a dose (oltre 2,6 milioni quelle messe sul mercato) di più di 186 chili di hashish. Un calcolo semplice realizzato mettendo i fila le cifre raccolte ascoltando le telefonate tra i componenti della banda, che si mettevano d’accordo tra loro per acquisti e cessioni. Il valore di mercato è poi stato determinato anche dalla purezza dello stupefacente immesso sulle piazze di diverse province italiane. Così si è arrivati a quantificare i redditi per i quali i 24 soci, secondo il fisco, avrebbero dovuto pagare le tasse. L’accertamento degli ispettori ha così portato a calcolare che per il 2015 non è stata incassata un’Iva, l’aliquota è quella del 22% così come avviene per gran parte dei prodotti, pari a 1.051.974 euro; per il 2016 invece l’Iva dovuta allo Stato si sarebbe fermata a 862.554 euro. Denaro mai riscosso e che ora il fisco vuole incamerare: in questo modo i proventi dell’attività di spaccio entrerebbero a fare parte del bilancio dello Stato.

«REDDITI DA ATTIVITA’ ILLEGALI»
«Valuteremo i ricorsi del caso – dice l’avvocato Gianbattista Scalvi, legale di un imputato originario del Marocco e residente a Brescia – si potrebbe percorrere la strada dell’accertamento con adesione.
Una sorta di accordo tra contribuente e ufficio che può essere raggiunto anche dopo l’emissione dell’accertamento. La riflessione che sembra imporre questo caso è che lo Stato è pronto ad appostare nel suo bilancio i crediti d’imposta provenienti dai redditi che derivano da attività illegali. Se la vicenda processuale dovesse concludersi con l’assoluzione la presenteremo all’Agenzia delle entrate, in caso di condanna invece chiederemo il perché non possano essere considerati anche i costi sostenuti dalla società».
© RIPRODUZIONE RISERVATA