"L'enigma della camera 622", Joël Dicker tra i segreti di una Svizzera noir

"L'enigma della camera 622", Joël Dicker tra i segreti di una Svizzera noir
di Riccardo De Palo
5 Minuti di Lettura
Martedì 9 Giugno 2020, 16:32 - Ultimo aggiornamento: 13 Giugno, 23:03
«Un romanzo inizia da un'urgenza: quella di scrivere», scrive Joël Dicker nel suo ultimo thriller, L'enigma della stanza 622. Sorprende, visto l'intreccio solitamente complesso e ad orologeria, che lo scrittore ammetta con candore, in diverse interviste ai media francofoni, di non sapere mai come finiranno i suoi libri, quando si siede davanti a una pagina bianca. «Comincio da zero, non ho alcun piano d'azione, né filo conduttore, non uso post-it, nulla. Ma non è una mia prodezza: sarei incapace di fare diversamente», ha detto a L'Illustré. Dicker comincia a scrivere, e come per magia, dopo avere rivisto varie volte le versioni iniziali - «se la prima persona non funziona passo alla terza e rivedo tutto» - il romanzo prende forma. E spesso, inevitabilmente, il risultato sorprende anche lui.

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Il nuovo libro, uscito lo scorso 27 maggio in Francia (e che abbiamo letto nella versione originale), uscirà giovedì prossimo anche in Italia, per La nave di Teseo. Era già pronto da marzo, in molte centinaia di migliaia di copie per il mercato mondiale, ma la pandemia ha costretto gli editori a uno slittamento. Per molti versi, L'énigme de la chambre 622 è simile agli altri bestseller a cui Dicker ci aveva abituato («Com'è il nuovo Dicker? Come al solito», ha scritto il Figaro). Ma ci sono almeno due novità di rilievo: per la prima volta, l'autore compare come protagonista; inoltre, ambienta la storia nella sua Svizzera. Due scelte coraggiose, perché il desiderio di mettersi in mostra può far deragliare l'intreccio, e perché le sue storie di successo precedenti si svolgevano in luoghi di grande appeal esotico, come il New Hampshire e gli Hamptons.



Lo scrittore racconta, con dovizia di particolari, la sua amicizia con Bernard de Fallois, il suo editore e scopritore, venuto a mancare il 2 gennaio di due anni fa. È a causa di questo lutto, e per la fine di un amore, che decide finalmente di staccare un po', di lasciare Ginevra e concedersi una vacanza nel Palace Hotel di Verbier, una località alpina molto amata dallo stesso fondatore delle Éditions de Fallois, che ci si fermava sempre quando andava a trovare Georges Simenon a Losanna.

L'urgenza di scrivere arriva quasi per caso, quando Joël e la vicina, una turista britannica di nome Scarlett, scoprono che una stanza è stata completamente cancellata dalla memoria dell'albergo: la 622, appunto. Esiste la 621 bis, ma non la 622. Naturalmente non si è trattato di un errore, bensì della necessità di dimenticare quello che era successo, molti anni prima, in quella stessa camera: un omicidio, il cui colpevole non era mai stato individuato.

La ragazza preme affinché lo scrittore indaghi assieme a lei su quanto accaduto, e arrivi magari a scrivere un altro bestseller sull'argomento. Pian piano, l'autore si convince. E la coppia scopre una storia che ha dell'incredibile. 

In quell'albergo, usavano indire le loro riunioni i dirigenti di una delle più importanti banche svizzere. Ed è chiaro che proprio in quell'ambiente Joël e Scarlett dovranno indagare, per riuscire a risolvere il mistero.
L'enigma della stanza 622 si svolge su tre piani temporali: il presente, le settimane immediatamente precedenti all'omicidio e il passato ancora più remoto. E il lettore ricostruisce l'accaduto gradualmente, come se stesse completando un complicatissimo puzzle. Macaire Ebezner è l'ultimo rampollo di una dinastia di banchieri: ha una bellissima moglie di origine russa e vive nel lusso gli anni che precedono la sua ascesa - data per scontata - alla presidenza del prestigioso istituto di credito che porta il suo nome. Ma qualcosa va storto. Il padre Abel, che non gli ha perdonato un errore marchiano, ha voluto mettere fine all'automatismo della successione. E Lev Levovitch, il collega in ascesa, l'uomo di origini umili che ha dimostrato le sue grandissime capacità di gestire i portafogli dei clienti, potrebbe essere eletto dal consiglio d'amministrazione al suo posto.

Il Palace di Verbier (ispirato a un altro albergo esistente, lo Schweizerhof, nella regione dei Grigioni) è il teatro privilegiato dell'azione; è il luogo in cui gli intrighi prendono forma, e dove si avvicendano, per una ragione o per l'altra, tutti i personaggi. Come il Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, l'albergo è il vero protagonista, è il crocevia obbligato, dove tutto inizia (o finisce). Lev, a sua volta erede di una dinastia di attori, lavora proprio in questo albergo prima del grande salto nella finanza. Un luciferino dirigente della banca, Sinior Tarnogol, più spesso paragonato al diavolo, avrà un ruolo centrale per il suo riscatto sociale.

Dicker mescola atmosfere faustiane e da spy-story ad altre più melodrammatiche. L'amore è il deus ex machina: il sentimento invisibile (e inevitabile) che muove i fili dietro le quinte, distribuisce ricchezze e miserie, costringe i personaggi ad azioni impensate. E nulla è mai ciò che sembra. I personaggi sono come attori sulla scena, le cui azioni sembrano incomprensibili, fino al disvelamento finale. L'ansia di impressionare il lettore spinge l'autore a colpi di scena, forse, un po' eccessivi. Ma in fondo, scrive l'autore, «la vita è un romanzo di cui si sa già il finale: il lettore muore». E l'importante non è «come la nostra storia termina, ma come riempiamo le pagine».

Dicker si mette in gioco e racconta anche molto di sé, dai primi insuccessi editoriali al grande colpo con La verità sul caso Harry Quebert. I critici francesi non amano molto i bestseller seriali, e non lesinano stoccate a scrittori di thriller di successo, come Guillaume Musso e Bernard Minier. Nel caso di Dicker, bisogna riconoscere (come sempre) la capacità di riuscire a tessere un intreccio complicato, depistando e stimolando, ad un tempo, la curiosità dei lettori per parecchie centinaia di pagine. Ma il piano personale, pur coraggioso, a volte sembra un intoppo all'azione. Se fosse stato ancora vivo, Bernard de Fallois, l'editore di sempre, avrebbe certamente fatto valere la sua opinione.
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