Dicker, un dramma familiare nel suo ultimo romanzo: arriva in Italia Il Libro dei Baltimore

Dicker, un dramma familiare nel suo ultimo romanzo: arriva in Italia Il Libro dei Baltimore
di Francesca Pierantozzi
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Domenica 18 Settembre 2016, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 20:52
PARIGI - Rieccolo Joël Dicker. E rieccolo, ineluttabile, il dilemma: ma possibile che questo scrittore, svizzero, trentenne, bello, sia davvero così bravo? D’altra parte il sospetto è legittimo: quattro anni fa (a 27 anni) Dicker ha sbancato librerie e premi letterari con La verità sul caso Harry Quebert, romanzo, anzi “giallo deduttivo” in 700 pagine che ha venduto più di tre milioni di copie in giro per il mondo. Lettori impazziti, ipnotizzati. Critica scettica: non confondiamo la letteratura con l’efficacia narrativa. Dicker è riuscito ad arrivare prima della soluzione del dilemma: Il libro dei Baltimore è uscito in anteprima mondiale un anno fa, nella sua Svizzera, cinque giorni dopo in Francia e tra meno di due settimane, il 29 settembre, sarà in libreria in Italia grazie a “La nave di Teseo”.

ANTICIPARE
Se è bene evitare di anticipare il finale (anche se questa volta la storia è meno thriller e più sentimentale-socio-psicologica), possiamo anticipare che il mistero Dicker resta intatto. Come Il Caso Quebert, anche Il libro dei Baltimore si legge d’un fiato. La resistenza è vana: con grazia e sapienza, Dicker costruisce ramificazioni narrative che tengono su senza sforzo. Anche meglio: lo scrittore è talmente “efficace” che al lettore interessa sì il finale, ma molto di più interessa il “come” andrà a finire: l’evoluzione, addirittura la descrizione, dei personaggi e delle situazioni. Senza paura di sfidare i fantasmi del passato e di confrontarli con successi (letterari o commerciali che siano) che possono non ripetersi, Dicker ci fa ritrovare Marcus Goldman, scrittore che già cercava l’ispirazione nel “caso Quebert” e che la cerca di nuovo nel Libro dei Baltimore. Il thriller poliziesco di Quebert, diventa però il dramma familiare (anzi Dramma, con la D maiuscola in tutto il testo) della famiglia Goldman. 

Per la precisione del ramo “Baltimore” della famiglia, quello più ricco, bello e brillante, rispetto al ramo “Montclair” cui appartiene Marcus, più inesorabilmente middle class. Lo zio Saul, sua moglie Anita e il cugino Hillel abitano una casa meravigliosa a Baltimore. Sono intellettuali, colti, sensibili, eleganti. Il giovane Marcus li adora, lo scrittore Marcus ne dovrà raccontare il dramma che li annientò. Cosa, come e perché è successo quello che è successo, il lettore lo scoprirà solo leggendo, e non si annoierà.

CORAGGIO
Al critico stabilire se l’abile fabbricante è anche vero scrittore. Di certo ha coraggio. Coraggio nell’affondare la lama in solidi cliché senza prevedibilmente smontarli: anche i ricchi – e gli intelligenti, e i colti, e i liberal – piangono, l’infanzia è piena di illusioni, ne è la culla, e la cosa è destinata a ripetersi in eterno come una maledizione, e poi la gelosia: è un tarlo, anche per il migliore degli uomini, il più cinico dei letterati. A Dicker, questa storia del successo commerciale, se sia letteratura o no, se sia stata una sorpresa oppure no: tutto questo l’ha già stancato nonostante la giovane età. La verità sul caso Quebert era il suo settimo romanzo. I sei precedenti non avevano mai trovato un editore. «Per me scrivere è felicità» ripete spesso. Sul personaggio di Marcus come alter ego: «Non credo ci sia più me stesso nel personaggio Marcus che negli altri personaggi…Al di là degli aspetti tecnici, quello che conta è questo desiderio di capire e scavare nelle storie degli altri. Marcus vuole sapere chi è. E penso che gli serviranno più di due libri per arrivare a capirlo davvero». Nell’attesa di un nuovo capitolo nella saga di Marcus Goldman, Dicker ci offre questo “lessico familiare” che somiglia, per i colori, le atmosfere e il ritmo, a una serie americana. Una delle migliori: quelle un po’ noir, con attori di grande talento, e sceneggiature degne del miglior cinema. La geografia resta quella cara e nota allo scrittore: l’est americano, con i suoi grandi spazi e, come ha detto: «la relativa amnesia che le frontiere naturali conferiscono a quelli che le attraversano». Nell’attesa che i posteri stabiliscano a quale tribuna dell’olimpo letterario appartiene Dicker, certo gli va riconosciuto un altro atto coraggioso, quello di scrivere “romanzi” in un’epoca in cui la narrativa, e soprattutto la migliore, è in debito con la realtà, in cui l’affabulazione è soprattutto inchiesta, indagine, delucidazione di fatti, il cui il poliziesco è al servizio della risoluzione di misteri di Stato. Con ingordigia ci si butta dentro la storia dei Goldman-di-Baltimora «…che erano abituati a servire, e noi eravamo servi», e dentro al “Dramma” che, come solo un buon romanzo ha il potere di fare, si rivela “più reale della realtà”. Con un avvertimento comunque: la verità si scopre soltanto alla fine.

 
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