De Angelis, dal cinema alla lirica: «La mia Tosca uccide per la difendere la dignità»

Una scena della Tosca, regia di Edoardo De Angelis, al San carlo di Napoli dal 22 al 29 gennaio
di Simona Antonucci
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Martedì 21 Gennaio 2020, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 16:39

Tutto nasce sulla riva destra del fiume Volturno. In un panorama di palazzine abusive venute giù sotto i colpi di una ruspa. Desolazione e resistenza: tra le macerie, si stagliano frammenti di pietra e una croce di ferro ritorto che rimandano a una sacralità antica. «É l’immagine che mi ha acceso la fantasia. Residui di bellezza, intorno ai quali chi ha perso tutto, ricostruisce la propria dignità. È lì, in quel non luogo che vive la mia Tosca».

Edoardo De Angelis, 42 anni, talento del cinema italiano, firma la sua prima regia lirica, al San Carlo di Napoli, dal 22 al 29 gennaio, con Carmen Giannattasio nel ruolo del titolo, Fabio Sartori nei panni di Cavaradossi, il cinese Renzo Ran come Angelotti ed Enkhbat Amartuvshin è Scarpia. Sul podio Donato Renzetti.

 

 


Flagellanti e modelle di colore, coccodrilli impiccati e pitbull, cemento e tavole imbandite, atmosfere color cenere e situazioni a tinte forti: il dramma di Puccini, con scene e creatività di Mimmo Paladino, costumi di Massimo Cantini Parrini (ha appena collaborato con Garrone per Pinocchio) si consuma «in uno spazio e in un tempo talmente precisi», spiega De Angelis, «da appartenere a qualsiasi epoca e a qualsiasi Paese».

Né periferia napoletana, né Sant’Andrea della Valle, né Ottocento, né 2020: dove siamo?

«Cavaradossi aspetterà l’esecuzione sotto un cielo di numeri, disegnato da Paladino per tirare la somma di tutti i martiri e le vittime di violenza. Un coccodrillo appeso, in uno studio di alchimista, farà dà cornice ai progetti velenosi di Scarpia, mentre Tosca rivolgerà le sue preghiere a una Madonna ospitata in una Cappella scarna e visionaria, dove il ritratto della marchesa Attavanti è un’opera d’arte vivente».

Viva?
«Nel libretto, il ritratto cui lavora Cavaradossi è centrale, non potevo lasciarlo sfocato. Rappresenta la spinta creativa dell’essere umano. La passione che ti porta a pensare che puoi sostituirti a Dio e a inventare un’opera così vera che è viva».

Lei è una personalità di spicco della nouvelle vague del cinema partenopeo, il film “Indivisibili” lo ha proiettato in un panorama internazionale. Perché si avvicina alla lirica?
«Sono fatto di melodramma, abituato a muovermi in situazioni estreme. È stato tutto più naturale di quanto pensassi, anche se io vengo dal mondo della riproducibilità, quello del cinema. E in uno spettacolo musicale nulla si ripete».

Come mai Tosca?
«Ho affrontato spesso al cinema problematiche femminili e Tosca l’ho sentita subito vicina al mio modo di narrare. Forse perché sono cresciuto con tre donne, mia mamma, mia zia e mia nonna».

Come la immagina?
«Una persona che si colloca al centro di un conflitto. Tra un artista che crea e un uomo di potere che distrugge. Lei conserva. Mantiene intatta la sua dignità, fino al sacrificio estremo. L’omicidio».

E il suicidio. O non la fa morire?
«Muore. Ma non per servire l’amore romantico. È un essere umano sfaccettato. Con dei momenti di follia. Ma l’unica follia che persegue fino alla fine è quella di continuare a essere se stessa».

Se Cavaradossi è un artista-Dio, Scarpia chi è?
«Un uomo che per smania di potere distrugge anche se stesso. Il suo sentimento per Tosca non è amore, ma desiderio. Una forma di possesso che non si può riferire a un essere umano».

Ha visto la Tosca di Livermore alla Scala?
«L’ho guardata con piacere. Ma è uno spettacolo lontano dalle mie sensazioni».

Progetti?
«Sto lavorando a una sceneggiatura con lo scrittore Sandro Veronesi.
La storia del sommergibilista Salvatore Todaro, Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver affondato un piroscafo belga raccolse i ventisei naufraghi e li portò in salvo. E quando gli domandarono perché, rispose: siamo italiani». 

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