Accompagnato dalla presidentessa onoraria del Festival Trudie Styler, Geldof nelle giornate ischitane ha partecipato al Social cinema forum promosso dal Global Festival con il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, e all’Italian Music Summer Summit, promosso con la Siae. Si è piaciuto in Bohemian Rhapsody? «Ho preferito evitare, non mi piacerebbe vedermi come un personaggio sullo schermo. Sono felicissimo però del grande successo di questo film. Alcune parti che riguardavano il Live Aid sono romanzate per esigenze drammaturgiche, ma non è un problema». Ma sarebbe possibile oggi un Live Aid nell’era dei social? «Sicuramente avrebbe un impatto diverso, oggi si comunica in tutt’altro modo. Quell’avventura nacque per caso, dalla mia rabbia quando seppi che 30 milioni di persone in Africa rischiavano di morire di fame». Dopo lo storico doppio concerto del 1985 negli stadi di Wembley a Londra e JFK di Filadelfia, nel luglio 2005 Geldof promosse Live 8, dieci concerti organizzati nelle nazioni del G8. «Quando abbiamo fatto il Live Aid siamo intervenuti su un’emergenza», dice l’artista che non ha mai smesso di impegnarsi quotidianamente per questioni umanitarie ed ambientali. «Almeno due ore al giorno, ormai è la mia vita. Sicuramente ai tempi del Live Aid non potevo immaginare che avremmo raggiunto miliardi di persone e arrivare a quei numeri ha significato molto, perché sono i grossi numeri che fanno muovere i potenti e la politica. Oggi come allora dobbiamo essere uniti. Perché se ognuno di noi impegna anche un solo euro per la beneficenza sta facendo un grandissimo lavoro sia a livello personale che umano. Invito tutti a non smettere mai di farlo perché significherebbe morire un pò dentro».
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