Lucio Battisti, emozioni senza fine
a venti anni dalla morte
Rieti ricorda la serata di esordio
con Balla Linda al Flavio nel 1968

Lucio Battisti è il sesto da sinistra. Accanto Mino Reitano
di Sabrina Vecchi
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Domenica 9 Settembre 2018, 08:03 - Ultimo aggiornamento: 13:38
RIETI - E' come non se ne fosse mai andato. Lucio Battisti muore la mattina del 9 settembre 1998 all’ospedale San Paolo di Milano, a soli 55 anni. Ma di lui, nel reatino e nella sua Poggio Bustone, si parla ancora al presente. Sottovoce e solo col nome di battesimo, per rispetto, pudore, come fosse ancora vivo, o forse solo nascosto, tra i vicoli del paese di origine. Il cantautore era sparito dalle scene già da anni.

I ritorni a Poggio Bustone si erano fatti sempre più rari, fino a sfiorare l’ipotetico e a tratti il misterioso, tra avvistamenti e visite ai parenti più stretti, sempre in totale anonimato. Ma il territorio non ha mai dimenticato il suo figlio riccioluto e talentuoso, e a tanti piace pensare che l’ispirazione per tante sue canzoni sia nata proprio tra queste montagne, «lì dove la gente se trova un ferro di cavallo storto lo porta a casa e lo aggiusta», come diceva a Mogol.

LA SERATA DI ESORDIO AL FLAVIO
«Non dimenticherò mai quella serata al teatro Flavio - racconta Ettore Saletti, ex sindaco di Rieti - che gran fortuna esserci. Fu lo stesso Lucio Battisti, che fino ad allora aveva solo scritto musica, a dire al pubblico che quella era la sua prima esibizione da cantante. Sono passati tanti anni, eppure ricordo bene quella voce, i brividi e quell’enorme fazzolettone al collo». Tu chiamale, se vuoi, emozioni. Correva l’anno 1968. L’occasione era il Festival «Parata di Primavera», una sorta di evoluzione del Festival dei Complessi: c’erano i capelloni, i microfoni a filo, le giacche avvitate, le coppe come premio. La canzone era «Balla Linda», il presentatore Daniele Piombi.

IL RICORDO DEL GIORNALISTA TITO CHELI
«Lucio Battisti vinse il Premio Giovani e Mino Reitano il Premio Critica con la celebre Avevo un cuore. Ma c’erano proprio tutti quelli che contavano: Orietta Berti, I Nomadi, I Giganti, Iva Zanicchi, Caterina Caselli, I New Trolls, I Bisonti, I Dik Dik: Rieti ai tempi era una vetrina musicale straordinaria». A parlare è Tito Cheli, storico cronista reatino che si occupò, giovanissimo, della comunicazione dell’evento, e ne conserva gelosamente le locandine originali. Oltre che un ricordo indelebile. «Mamma non ha mai modo di esserci mentre mi esibisco - mi disse Lucio - per una volta che sono vicino casa mi piacerebbe avesse un posto buono, da dove si vede bene il palco».
La cosa è semplice, Tito non ha problemi ad accontentare l’amorevole desiderio di quel ragazzo: «ricordo che le diedi un posto al primo ordine di palchi del teatro, subito prima della barcaccia per la stampa, di modo che potesse avere un’ottima visuale sull’esibizione. Dopo la serata mi ringraziò cento volte: non sai che favore mi hai fatto, mamma si è messa a piangere».

L'AMORE DI POGGIO BUSTONE
Burbero come dicono? Manco un po’. A Poggio non dimenticano il sorriso da ragazzo ingenuo che gli era rimasto stampato sul viso anche da adulto e famoso. «Era solare e simpatico, ma era timido, non gli piacevano i clamori. Veniva al cimitero a far visita ai suoi nelle ore più impensate, comprava il pane in un negozio fuori mano e se ne tornava a Roma, non si fermava certo in piazza. Per questo i compaesani a volte ci rimanevano male».
Nessuno sapeva della malattia, qualcuno dice di averlo sentito poco tempo prima. E quel 9 settembre di vent’anni fa, appresa la notizia, calò il gelo su Poggio Bustone. Una delegazione, sindaco in capo, andò a Molteno per le esequie, ma non fu fatta avvicinare. Tuttavia, nessuno vuole parlarne, «non importa, è comprensibile». Come nessuno vuole parlare dei veti della vedova sull’eredità musicale e sulle cause milionarie in corso. «Sappiamo che Lucio amava Poggio Bustone e non ha mai negato le sue origini. Aveva un quaderno dove appuntava le parole in dialetto poiano con le rispettive traduzioni. Lui aveva nel cuore noi e noi lui. E’ questo è ciò che importa». Come a dire che no, non c’è nessuno scoglio, in grado di arginare il mare.

 
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