Svolta al processo Uva, il pm: «Prosciogliere poliziotti e carabiniere»

Giuseppe Uva
di Claudia Guasco
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Martedì 10 Giugno 2014, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 17:57
Quando Felice Isnardi, procuratore facente funzione di Varese, termina la sua requisitoria, nell’aula dell’udienza preliminare il tempo sembra fermarsi. «Negli ultimi 15 giorni ho studiato meglio il fascicolo - afferma il pm - Il caso di Giuseppe Uva non è come quello di Aldrovandi e di Ferrulli». E cioè: dai verbali, dalle due autopsie, dalle perizie mediche non emergerebbero elementi per sostenere che Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto in ospedale il 14 giugno del 2008 sette ore dopo essere stato portato nella caserma dei carabinieri, sia stato ucciso. Dunque secondo la Procura non si potrà svolgere contro gli indagati - sei poliziotti e un carabiniere - un processo per i reati più gravi a loro ascritti: omicidio preterintenzionale, arresto illegale, omissione di soccorso. Per queste accuse, sostiene il magistrato, devono essere prosciolti.



LE REAZIONI

La sorella Lucia Uva è annichilita, l’avvocato della famiglia Fabio Anselmo è incredulo: «E’ una cosa inaspettata e per me non se lo immaginavano neanche gli imputati, ma si tratta delle richieste del pm e confidiamo nella decisione del gup». In sostanza il pm chiede il rinvio a giudizio per un solo reato, l’abuso di potere. L’unico che secondo l’accusa sarebbe circostanziato: portare Uva in caserma non costituirebbe un atto illegale, dal momento che l’uomo era sotto l’effetto dell’alcol, ma il fatto che sia stato trattenuto non esclude che possa essere stato sottoposto a misure di rigore non consentite dalla legge. In ogni caso per Isnardi la morte di Uva non può essere stata determinata dall’intervento delle forze dell’ordine.



LE TESTIMONIANZE

Da qui la richiesta di proscioglimento, clamorosa soprattutto perché solo 3 mesi fa il procuratore aveva tolto il fascicolo ai pm Abate e Arduini, che avevano già disposto l’archiviazione di carabinieri e poliziotti. Il gip la respinse, con argomenti durissimi per la «visione monocromatica» di Abate, dispose l’imputazione coatta e nuove indagini anche sulla scorta della testimonianza di un’ausiliaria di turno quella notte in ospedale. «Stavo sistemando le barella quando ho sentito un gran trambusto nella stanzetta dove vengono portati i malati dalle ambulanze - ha raccontato - Sono entrata in quella stanza e ho visto un uomo in piedi, che urlava, e che non si riusciva a calmare». A un certo punto qualcuno dice: «Basta, ora ti diamo una manica di botte». Lo portano in bagno e quando la donna lo rivede su una barella lui sussurra: «Mi hanno picchiato». La versione non ha trovato riscontro nei verbali di altre 35 persone che, in varie fasi, si sono occupate dell’artigiano. Per Isnardi, quindi, non ci sono collegamenti tra il comportamento di carabinieri e poliziotti con la morte di Uva, tant’è che nella sua requisitoria fa propri alcuni punti della precedente richiesta di archiviazione, in particolare i presunti atti di autolesionismo compiuti dalla vittima in caserma. In ogni caso un processo per la morte di Uva ci sarà: quello in Corte d’Assise a un altro carabiniere che ha chiesto il giudizio immediato, ovvero di andare subito a dibattimento, per dimostrare che «un pestaggio non c’è mai stato».
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