La decadenza dell'impero: dibattito sulla leadership degli Stati Uniti

La decadenza dell'impero: dibattito sulla leadership degli Stati Uniti
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Lunedì 9 Giugno 2014, 19:30
​Gli Stati Uniti un Impero in declino? La domanda accompagna da sempre la storia americana e ciclicamente visita come il peggiore degli incubi le notti dei presidenti alla Casa Bianca.

Nel 1979 per la prima volta andai in America, presidente Jimmy Carter, c’era la crisi degli ostaggi con l’Iran raccontata nel film “Argo” e mai più avrei vissuto, neppure dopo l’11/9, quel senso di declino già allora paragonato al crollo dell’Impero Romano. La frustrazione culminò col fallimento, il 24 aprile 1980, dell’operazione Eagle Claw, “Artiglio dell’Aquila”: otto militari morti nella collisione tra un elicottero e un C130 nel deserto. E dire che l’aquila di mare con la testa bianca è il simbolo degli Usa.

Nel 2001 furono le “altissime torri” a essere trafitte dai kamikaze islamici. Cinque anni dopo, Bernard-Henri Lévi dovette aggiungere il post-scriptum sul ciclone Katrina al suo “American Vertigo” che esaltava la democrazia americana: «Quelli che non possono fare a meno del confronto col mondo antico, ossessionati da Mommsen, Gibbon e Fustel de Coulanges, devono constatare che non siamo tanto vicini alla grande Roma imperiale, quanto all’Atene ormai in declino, cui Platone rimproverava di aver preferito il remo alla lancia e allo scudo, o anche alla mercantile Cartagine che, alla vigilia della terza guerra punica, era diventata incapace di mantenere una flotta».



IL VECCHIO CONTINENTE

Un post-scriptum, riferito stavolta alla crisi ucraina, aggiunge pure Sergio Romano nella sua rassegna di talloni d’Achille dello Zio Sam, “Il declino dell’Impero americano” (Longanesi), fresco di stampa. Ma se Lévi vede nell’America il baluardo di tutto l’Occidente, l’ambasciatore Romano respinge la coincidenza d’interessi: «Un’Europa divisa, per gli Stati Uniti, è il migliore degli alleati possibili... L’unità dell’Europa si farà soltanto a dispetto dell’America». Gli Usa fanno i conti con due guerre non vinte (Afghanistan e Iraq) e vedono traballare le alleanze con Israele, Turchia, Giappone, mentre emergono nuove potenze come la Cina e rialza la testa l’imperialismo russo.



L’altro giorno a Roma il segretario aggiunto alla Difesa degli Usa, Derek Jollet, ha incoraggiato l’Italia a confermare l’acquisto dei caccia F-35. Gli Usa sono «totalmente impegnati al fianco di alleati e partner. L’azione illegale della Russia in Crimea ha portato a riaffermare l’Occidente. Se la Nato non ci fosse stata, avremmo dovuto inventarla. Ci sono problemi che non possono essere risolti da un solo Paese».



Qual è il segreto della leadership? «Saper scegliere cosa fare e cosa non fare. Non fare troppo, né troppo poco». Il 3 giugno Walter Russell Mead, luminare di politica estera al Bard College, ha argomentato sul Wall Street Journal che «Putin ha fatto un favore agli americani», l’Ucraina è stata un “check di realtà”.



Che il mondo possa fare a meno dell’America sarebbe «un’idea suggestiva per gli internazionalisti liberali come per i neo-isolazionisti conservatori». Ma l’orso Putin con la sua zampata in Crimea ha gettato “una grande bomba puzzolente” in mezzo alla teoria del «declino pacifico e sicuro», mostrando «quanto odioso possa essere il mondo se gli Stati Uniti prendono fiato».



L’ECONOMIA

Per Niall Ferguson, storico a Harvard, «il declino degli imperi comincia con un’esplosione del debito e finisce con un’inesorabile riduzione delle risorse disponibili per Esercito, Marina e Aeronautica». La Spagna con le sue 14 crisi del debito tra 1557 e 1696, la Francia pre-rivoluzionaria e gli imperi ottomano e inglese con percentuali sempre più elevate di budget a copertura degli interessi, dimostrerebbero «l’aritmetica fatale del declino imperiale». Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri già ambasciatore in Usa, condivide la teoria di John Ikenberry dell’Università di Princeton, per cui proprio la collaborazione tra America e Europa, attraverso la riforma delle istituzioni di governance, potrà includere (e neutralizzare) i nuovi azionisti del potere globale. Terzi cita i negoziati per i Ttp e Tpp, i trattati di libero scambio transatlantico e trans-pacifico con cui Usa e Ue insieme possono ridisegnare il futuro «a partire dalle cose da fare, e non dalle profezie di declino che si auto-avverano». Ciò vale soprattutto per un Paese in cui il presidente parla al Congresso sotto la bandiera degli Stati Uniti affiancata da fasci littori. L’ambasciatore Romano dissentirà, ma vale ancora il detto di Churchill: «Gli americani faranno sempre la cosa giusta, dopo averle provate tutte».
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