Non è soddisfatta delle cure
e offende i dentisti su Facebook,
condannata per diffamazione

Non è soddisfatta delle cure e offende i dentisti su Facebook, condannata per diffamazione
di Vincenzo Caramadre
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Venerdì 2 Novembre 2018, 16:14
Occhio a scrivere frasi pericolose, proferendo parole come “truffatore” o “delinquente” contro un ex amico, un vicino di casa, un rivale in amore o un avversario politico: lo scritto sui social è equiparato alla stampa. Ma c’è di più: non serve il nome e il cognome dell’offeso, al pari della diffamazione a mezzo stampa, basta la riconducibilità della persone diffamata per essere condannati.
Ne sa qualcosa una donna che ha sfogato su Facebook l’ira contro due noti dentisti del cassinate, con studi in tutto il Basso Lazio, che è stata condannata per diffamazione aggravata. Una sentenza che ricalca la consolidata giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo social.

LA STORIA
Protagonista della vicenda finita davanti al Tribunale di Cassino, proprio una donna, di 50 anni, della Città Martire che è stata condanna a sei mesi di reclusione. Ma la battaglia legale è solo agli inizi, perché i legali dei due dentisti (gli avvocati Emanuele Carbone e Stefano Bossi), hanno già annunciato l’azione civile per il risarcimento del danno economico.
La vicenda risale al 2012, quando la donna ha preso contatti con la coppia di dentisti. Si è recata in uno degli studi da loro gestiti ed ha avviato le cure richieste. Ma qualcosa, secondo il post scritto dalla donna, sarebbe andato storto, per cui nell’era dei social c’è voluto poco per esternare la sua ira. Una volta rincasata, dal computer di casa si è collegata al suo profilo Facebook ed ha esternato frasi, ritenute, diffamatorie nei confronti dei due dentisti. La donna, però, ha usato l’accortezza di non scrivere il nome e il cognome dei professionisti, ma ci sarebbe stata comunque la riconducibilità perché l’unica coppia di dentisti, all’epoca dei fatti, operante in un determinato territorio. Ben presto il tam-tam social scatenato dal post della donna è arrivato all’attenzione dei due dentisti; hanno acquisito il post, dopodiché si sono rivolti agli avvocati Carbone e Bossi i quali hanno redatto una querela contro la donna per diffamazione aggravata.
Dopo tre anni di processo, il Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, qualche giorno fa ha pronunciato sentenza di condanna a sei mesi di reclusione, ovviamente, pena sospesa, e danni civili da quantificarsi in separata sede. La difesa della donna può appellare la decisione, ma nel frattempo partirà l’azione civile.

L’ATTUALITÀ
Una sentenza che, nell’era social è di pregnante attualità. Nell’era del touch screen imperante, della tecnologia 4.0, la giurisprudenza si è adeguata e ora, anche le decisione di merito, delle giurisdizioni territoriali pronunciano sentenza in linea.
«E’ sufficiente - si legge in una delle prime sentenze della Cassazione - che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa».
Ma la casistica della diffamazione sui social è andata ben oltre i post. La giurisprudenza dovrà affrontare, la questione legate al “mi piace” messo a un post ritenuto diffamatorio. Al momento le linee di pensiero sono diverse: c’è chi sostiene che il like al post esprima la piena volontà (il dolo) di adesione alla condotta diffamatoria, altri, invece, lo escludono. Nel frattempo diverse Procure hanno già disposto il rinvio a giudizio per chi mette un “mi piace” a un post pericoloso.
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