Scarichi inquinanti, il gip: «Depuratore vecchio, ma volevano a tutti i costi l'autorizzazione»

Scarichi inquinanti, il gip: «Depuratore vecchio, ma volevano a tutti i costi l'autorizzazione»
di Pierfederico Pernarella
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Martedì 28 Settembre 2021, 09:09

Si lamentavano dei tempi troppo lunghi per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), ma un attimo dopo ammettevano platealmente che l'impianto per il quale chiedevano i permessi non era adeguato. Se alla burocrazia, spesso a ragione, sono state addossate le colpe sui ritardi nell'ammodernamento degli impianti industriali della provincia di Frosinone, nel caso del depuratore di Villa Santa Lucia, secondo le accuse, è vero il contrario: si volevano fare le «nozze con i fichi secchi». Ottenere l'AIA senza fare i necessari investimenti.

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Lo contesta il gip del Tribunale di Cassino, Vittoria Sodani, nell'ordinanza di custodia cautelare che ha disposto gli arresti domiciliari per i vertici di AeA, la società che gestisce gli impianti di depurazione del Cosilam: il presidente Riccardo Bianchi, l'amministratore di fatto Roberto Orasi e il responsabile dell'impianto di Villa Santa Lucia Amedeo Rota.

Tutti accusati dell'inquinamento del Rio Pioppeto dove finivano gli scarichi non adeguatamente trattati del depuratore, come accertato dai carabinieri forestali del Nipaf nell'inchiesta Acquanera coordinata dal pm Emanuele De Franco.

Il procedimento a ostacoili

Il gip si sofferma anche sul rilascio dell'AIA. L'impianto di Villa Santa Lucia è l'unico tra i depuratori a non averla.

«Il problema - scrive il gip - è che chi esamina l'istanza AIA è il dirigente del settore ambiente della Provincia (l'ingegnere Eugenia Tersigni, ndr), con quale dice Orasi non si ragiona». Orasi sembra dispiaciuto che il procedimento non sia seguito da Flaminia Tosini, ex dirigente della Regione Lazio.

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E a proposito dell'intransigenza del dirigente provinciale dice: «Cinque anni per rilasciare un'AIA, poi viene la Forestale e ti sequestra l'impianto perché non hai l'AIA. Ma scusa quello non me l'ha rilasciata per 5 anni, ma va a prendere loro, dice no, e che fai, io non firmo perché sennò me vengono mezz'ora dopo i carabinieri». Al che l'interlocutore di Orasi obietta: «Però l'impianto fa veramente cag...». E l'amministratore di AeA ammette: «Cag...».

«Un impianto vecchio»

Lo stesso presidente della AeA, Riccardo Bianchi, era pienamente cosciente di quanto il depuratore fosse vetusto: «Il problema - dice - è che questi impianti sono un po' vecchi, tutti impianti ex cassa del mezzogiorno». E l'interlocutore di Bianchi in effetti commenta: «L'impiantistica italiana nella depurazione delle acque è nata a cavallo tra gli anni 80 e 90, utilizzando un'ingegneria degli anni 70. Però si possono fare tante cose, si può lavorare in termini di software, in termini di gestione si possono fare tante cose». Ma Bianchi ammette: «Non abbiamo fatto molto in questi due anni proprio in questo senso che dici tu».

Altro che software se spesso c'erano problemi nella manutenzione ordinaria, dalla mancanza di disinfettanti e antischiuma ai pezzi che non venivano ricambianti. Uno dei responsabili dell'impianto dice: «Ci siamo spaccati la testa per mandare avanti sta roba, per trovare il modo di non far spendere soldi e trovare soluzioni geniali alle puttanate che sono anni anni e anni che non funzionano».

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E poi si parla di una griglia da tempo non funzionante: «Costa 25mila euro o 17mila se va riparata. Se m'avesse comprato un tornio come avevo chiesto, un tornio che costa 3mila euro, l'avevo già aggiustato».

E i pezzi non arrivano anche perché si devono saldare i fornitori. Il responsabile dell'impianto, Amedeo Rota, rincara la dose: «Gli ho detto ma state lavorando per la raschia? Lo sai che mi ha detto? No sto comprando i pezzi. Ancora stiamo comprando i pezzi, sono 6 mesi».

Il "pezzo di carta" per dire che va tutto bene

Nonostante questo si preme per ottenere l'autorizzazione integrata ambientale persino più generosa. L'amministratore di AeA Roberto Orasi, scrive il gip Sodani, «ragguaglia Bianchi sulla volontà della Regione Lazio non solo di concedere l'autorizzazione, ma anche di inserire deroghe. Per fare ciò però è necessario un documento a firma congiunta con la cartiera Reno De Medici dove si dimostra che l'impianto può accettare e depurare quel tipo di refluo. È dunque evidente che Orasi, pur sapendo dello stato dell'impianto (lui stesso aveva ammesso che fa cag...), pur sapendo che sono proprio i reflui della Reno De Medici che creano maggiori problemi al depuratore, pur sapendo che gli stessi valori attuali concessi alla Reno De Medici sono eccessivi alla capacità dell'impianto, non si fa scrupoli nel voler predisporre un documento firmato dalla Reno De Medici (un pezzo di carta come lui stesso lo definisce) nel quale si scrive che tutto va bene».
 

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