Sono occhi gonfi di lacrime e non sguardi da criminali, quelli che si prestano alla telecamera. Mani piccole e già segnate dalla fatica, corpicini malnutriti e coraggio da uomini con molte disavventure alle spalle. La paura di questi bambini non ha certo bisogno di essere raccontata con le parole: si vede da lontano, si capisce senza aggettivi, si scorge dalle espressioni terrorizzate, dalle mani livide e dalle guance piene di graffi. Dalla polvere sulle guance e da quella ricerca continua di conforto. Cresciuti senza affetti e senza una casa sicura, i più piccoli disperati di Kandahar si sono ritrovati in un luogo che non conoscevano. L'illusione che fosse un luogo per giocare, per loro, è durata poco, perché quello spazio polveroso dove ogni tanto si poteva anche correre era il cortile di un carcere. Un angolo circondato dalle grate e dal filo spinato, sul quale si affaccia la sofferenza e dove i bambini non ci dovrebbero mai essere.
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