Paolo Graldi
Paolo Graldi

La babele del siero, meno chiacchiere e più concretezza

di Paolo Graldi
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Lunedì 1 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:05

Dialoghi dalla Galassia Covid-19, al tempo della Guerra dei vaccini. Fatto? “Non ancora. Aspetto l’ultimo nato, il Johnson. Mi fido di più. E poi, una sola dose e via”. - “A me è toccato il Pfizer, il primo. Chissà. Dovrò fare il richiamo tra un mese…”. Ma, intanto, su qualsiasi schermo tv, infuria la battaglia. 

Tutti contro tutti. I fronti si moltiplicano. In Europa, a Bruxelles, sede dei 27, arrivano via web le sciabolate di Draghi contro i negoziatori Ue che non sanno trattare con i Big Pharma. I colossi, che giocano a nascondino sulle pieghe dei contratti e sulle sfumature dei mercati, vanno ricondotti alle regole, indispensabili per armonizzare la distribuzione degli antidoti.

Siamo in uno spaventoso ritardo sulle previsioni, sulle promesse, sui bisogni di urgenza a far presto. Le Varianti inglese, sudafricana, brasiliana e chissà quali altre incombono e scombinano, forse, l’efficacia dei cocktail antivirus. I sudditi di Sua Maestà, temerari come il loro premier scapigliato, si fanno bastare una delle due dosi pur di vaccinare tutti e gli indicatori della pandemia s’abbassano e convincono anche gli scettici. Da noi il vaccino c’è e manca, manca e c’è, solo ai medici e agli infermieri, no agli obiettori che andrebbero obbligati, forse. La fiala viene somministrata e però non si trova, la si può prenotare ma spesso non c’è verso di collegarsi ai siti predisposti. Tutto e il contrario di tutto alimenta una confusione e un’inquietudine che si fanno disincanto, 

C’è la risposta, tuttavia: Palazzo Chigi annuncia la discesa in campo dei trecentomila volontari della Protezione Civile, guidati dal nuovo (già vecchio) capo, richiamato a sostituire quello che disdegnava di portare la mascherina: inutile, diceva. Finalmente s’avverte un senso di fretta ragionata, di bisogno di far presto, di azzerare quasi militarmente i margini di ciò che è obbligatorio dal facoltativo e dall’improvvisato. A sera, i bollettini delle vittime, sempre sopra le tre cifre, scandiscono una realtà che di fronte all’arma del vaccino (almeno virtualmente disponibile) sì fa intollerabile ed esige risposte inquadrate come tabelle pitagoriche. Bisogna moltiplicare per cinque o per sei l’attuale rollino di marcia, arrivare a seicentomila dosi iniettate al giorno, con una distribuzione omogenea sull’intero territorio, per ora a macchia di leopardo con le immancabili infiltrazioni degli speculatori che cercano l’affare sporco giocando sul bisogno e la paura.

Le Procure sono già al lavoro: per fortuna è un copione già noto e anche gli attori sono conosciuti.

Ci si rende conto che l’arrivo di nuovi marchi e di diverse soluzioni apre scenari complessi, inediti, inesplorati e l’esperienza non soccorre a sufficienza, almeno per adesso. Si capisce bene che sarà una storia lunga, che comincia adesso ma che ci terremo addosso per anni, chissà forse per sempre. Il governo chiama a raccolta l’industria del farmaco, eccellenza italiana, che ci sta e si rende disponibile ma ha i suoi tempi tecnici, i suoi dubbi, oltre a diversi distinguo e qualche perplessità di temuta vocazione dell’amministrazione pubblica all’inadempienza. Gli impianti di produzione farmaceutica, sofisticati, costosissimi e di gestione non banale, non bastano alla bisogna del momento che richiede uno sforzo immane di adeguamento: portarli a nuovo e utilizzabile regime implica tempo, soldi, convinzioni e convenienze. Non tutto è a portata di mano e forse di volontà. Ci si domanda se è possibile una moratoria nelle pretese di far valere i brevetti di produzione, fatti salvi quelli delle ricerche scientifiche: un campo minato sul quale sembra difficile inoltrarsi anche se motivati dalle migliori intenzioni.

Non resta che spingere e attendere. La necessità imponente di uscire dalla palude dei contagi, chissà, potrà aprire varchi e inaugurare nuovi percorsi. Si promette un cambio di traiettoria, complessivo e generale: col vaccino andrebbe acquistata anche la fiducia. E non la si trova in tabaccheria. Ce ne dicono qualcosa le polemiche, per il momento un po’ meno virulente, tra gli esperti la cui stucchevole girandola mediatica non aiuta. La presenza di virologi, infettivologi ed epidemiologi potrebbe e dovrebbe servire a diffondere consapevolezza e però deve venire smantellata la passerella delle esibizioni e delle ambizioni per far posto ad una informazione sobria, univoca. Un’informazione trasparente che eviti di essere usata per altri scopi, non tutti commendevoli. Lo stile Draghi, forse, per sano contagio, potrà diventare un esempio da imitare. Per intanto un dato incombe su tutti: la pandemia non si ferma, non rallenta ma si complica con la aggravante delle varianti difficili da domare, aspettando di avere i vaccini per tutti. Ogni dose è più di una vita posta in salvo: solo così il respiro potrà riprendere a pieni polmoni, anche per l’economia.
 

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