Modello Sinner/ La lezione del ragazzo che rispetta il suo tempo

di Mario Ajello
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Giovedì 1 Febbraio 2024, 00:00

Quello che colpisce di Jannik Sinner è la positiva contraddizione, e s’è vista anche nella conferenza stampa di ieri, tra la sua giovane età e la maturità del suo universo di valori. Il valore del sacrificio (niente Sanremo, perché devo lavorare); quello di non sentirsi mai appagato ma sempre perfettibile (si vince e ci si allena per vincere ancora di più) partendo da una base di umiltà; e soprattutto quello di non avere tempo per i social (più utile leggere un libro) in quanto sono luogo del presentismo, dell’effimero e dello straniamento spacciato per realtà. 
Fa enorme impressione un ragazzo che ragiona così sul mondo virtuale nel quale i suoi contemporanei sono immersi, o intrappolati, h24. Ma non si erge a censore di nessuno Sinner, trasmette i suoi valori giusti da italiano non follower ma pensante in proprio e lo fa con una moderazione e un senso di responsabilità non gridato perché, evidentemente, vissuto in profondità. 

Le osservazioni di questo campione del tennis relative ai social («Non rappresentano la realtà, sono lontani dalla realtà») sembrano avvertire non solo i suoi coetanei, compresi quelli dello sport, che si nutrono di Instagram, di Tiktok, di selfie e di storie a raffica, ma finiscono per sottolineare il desiderio di visibilità, di protagonismo, di “qualcunismo” (digito ergo sum) degli adulti (e non fanno eccezione molti politici). L’effetto straniante dei social trova in Sinner non un critico snob o anti-moderno ma un giovane che non si accontenta dell’immediato. E che guarda avanti non in senso visionario ma metodico: verrebbe da dire quasi calvinista, cioè con quell’etica della serietà e della consapevolezza di avere un talento che però va continuamente coltivato con rigore, dedizione e impegno. 

L’insegnamento ai giovani, anche se non c’è un voluto intento pedagogico in Sinner, è quello di non distrarsi, di non disperdersi, di non «disunirsi» (tanto per citare l’anziano Antonio Capuano rivolto al giovane Sorrentino nell’ultimo film del regista napoletano) e di capire la preziosità del tempo. Seneca diceva: «Il tempo c’è chi lo usa con parsimonia e altri con prodigalità e c’è chi lo usa con coscienza e chi lo spreca del tutto». Ecco, Sinner del tempo ha un rispetto enorme. E dunque andare al festival di Sanremo toglie tempo a chi, come lui, sente il dovere di fare altro per migliorarsi nella propria specialità. Ed è l’affermazione, non propagandistica, di un concetto: perché mi devo mettere a ballare o a cantare o a parlare di me e degli altri? Io sono un giocatore di tennis, non un tuttologo.

Un modo semplice per sottolineare, nel mondo dominato dal falso concetto dell’intercambiabilità, che ognuno deve conoscere se stesso e il proprio posto nella società. Senza esondare. E ancora: nel non andare a Sanremo, ma volerlo vedere dal divano di casa come milioni di italiani, c’è la consapevolezza (forse non se n’erano accorti i Ferragnez) che il festival è difficile da maneggiare. 

Lo stesso discorso vale per i talk show. Accettare gli inviti per comparsate di qua e di là in televisione, e ne stanno piovendo a decine per il campione, lo distoglie dal percorso di crescita personale e professionale. Ieri, invece, Sinner è andato al Colosseo (e non per scrivere I love you alla sua fidanzata su un antico marmo deturpandolo, come purtroppo accade a qualche giovane visitatore) e vorrebbe vedere l’intera Roma imperiale e barocca (non gli è stato possibile per varie ragioni ammirare Fontana di Trevi). 

La sovraesposizione, ormai un dogma e guai a chi sgarra, lui la rifugge e dimostra di avere tutti gli antidoti per contrastarla. Sta guardando infatti con sorpresa, poco piacevole, l’assedio mediatico davanti alla casa dei genitori: «Ho fatto un casino». E fa parte, della mappa dei valori di questo ragazzo strutturato e solido, il rispetto dei genitori, che non ha voluto chiamare subito dopo la vittoria in Australia per non disturbarli nel loro festeggiamento. Una forma di attenzione che, nella religione del condivido tutto e con tutti sempre e comunque, e della socializzazione obbligata d’ogni momento e gesto, va segnalata non come un residuo del passato, un elemento di tradizionalismo da guardare dall’altro in basso, ma come qualcosa di fondante. 
Già si parla di sinner-mania (neologismo che contrasta con la sobrietà del personaggio) ma se il modello Sinner dovesse diffondersi sarebbe l’affermazione di una visione ottimistica, semplice e forte, utile alle nuove generazioni spesso spaesate e fomentate in questo spaesamento dal mito del successo facile, del voler vincere anche quando non se ne hanno le capacità, della semplificazione a tutti i costi a scapito della fatica e del merito. 

Il modello Sinner è quello, fuori dal campo ma anche dentro al rettangolo di gioco, del sorriso e dell’atteggiamento mai polemico, mai divisivo sempre molto equilibrato (glielo riconoscono pure gli avversari) sia nella vittoria sia nella sconfitta. E’ un italiano anti-melodrammatico Sinner, privo di piagnistei e di pose teatrali da super-uomo o da divo. 
Questa postura civile, questa sorta di laicità dei sentimenti e degli atti, può fungere da bussola culturale per un Paese che ha bisogno di crescere e che può trovare in un ragazzo un’ispirazione e un motivo di speranza.

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