Carlo Nordio
Carlo Nordio

Ricorsi e nomine/ L'altalena delle procure che fa male alla Giustizia

di Carlo Nordio
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Venerdì 14 Maggio 2021, 00:08

Un tempo si diceva che la carica di Procuratore della Repubblica di Roma valesse tre ministeri. Ciò che rendeva ambita una tale poltrona non era soltanto la sua capacità di influire sulla politica, ma la sua stabilità. In un Paese in cui la durata media dei governi era di pochi mesi, quella di capo dei Pm romani sembrava un’investitura a vita. In effetti, una volta occupatala, l’alto magistrato vi restava sino alla fine della carriera, salvo una sua scelta successiva o una repentina disgrazia. Insomma un potere esteso, intenso e consolidato. 

Oggi quella poltrona è soggetta a un’allarmante volatilità, che riflette la disgregazione irreversibile della nostra sgangherata Giustizia. Non bastando le brutture dello scandalo Palamara, e quelle anche più serie dei verbali secretati e poi diffusi su una presunta loggia segreta, intervengono ora i fendenti della giurisdizione amministrativa sull’organo che governa la magistratura ordinaria. L’ultimo riguarda appunto la Procura di Roma che oggi può considerarsi, con liturgica espressione, sede vacante. Infatti il Tar prima, e il Consiglio di Stato pochi giorni fa, hanno dichiarato illegittima la nomina del dottor Prestipino, che copre - o copriva - quell’incarico prestigioso. 

Per non annoiare il perplesso lettore, saremo sintetici sul come si era arrivati a quella designazione. I candidati erano molti, i selezionati pochi, i contendenti finali soltanto tre. Il più titolato, Viola, figurava incidentalmente nelle intercettazioni di Palamara. E tanto è bastato per eliminarlo. Il Csm ha inteso esercitare un magistero arcigno e autoritario, anche se quell’intercettazione, peraltro controversa, non significava nulla, perché Palamara aveva parlato con tutti e di tutti, visto che era al vertice del sindacato delle toghe. Ma il Csm, con questa scelta di nobiltà amorale, volle nascondere in fretta la polvere sotto il tappeto. Il secondo candidato, Lo Voi, era titolato quasi quanto Viola, ma per ragioni correntizie gli era stato preferito Prestipino, che era procuratore Aggiunto. Insomma un colonnello era stato anteposto a due generali , che naturalmente hanno fatto ricorso. Entrambi lo hanno vinto in primo grado. Viola lo ha vinto anche in secondo, e si aspetta l’esito, probabilmente analogo, per quello di Lo Voi. Dopodiché si comincerà daccapo. 

Esausto e disgustato, il cittadino si domanderà come si sia potuti arrivare a un simile pasticcio. Perché il Csm non è una giunta comunale o un consiglio di istituto, le cui delibere possono esser adottate da membri impreparati.

E’ composto di magistrati, avvocati anziani e docenti universitari che costituiscono il fior fiore della nostra cultura giuridica. E’ vero che di tanto in tanto il Parlamento vi manda qualche esponente di partito trombato alle elezioni, ma nella sostanza nessuno discute la preparazione tecnica dei suoi membri. Non solo. Vi fanno parte di diritto il Primo Presidente e il Procuratore Generale della Cassazione, cioè i massimi vertici della magistratura giudicante e requirente. E allora come è possibile che un semplice Tar possa dichiarare illegittima una risoluzione adottata da un consesso così titolato e autorevole? Rispondiamo: è possibile per una ragione di diritto e una di fatto. Quella di diritto, abbastanza singolare, è che le decisioni del Csm sono atti amministrativi, e quindi impugnabili come il diniego di una licenza di caccia o la bocciatura di un alunno agli esami. Quella di fatto è che, come tutti sapevano e come lo scandalo Palamara ha rivelato, queste nomine hanno poco a che veder con l’applicazione della legge scritta e molto con quelle della contrattazione sussurrata. Quel mercimonio indegno tra correnti che un ex superprocuratore antimafia ha elegantemente definito “mercato delle vacche”. 

Dobbiamo dunque plaudire all’intervento del Tar e del Consiglio di Stato? Sì e no. Sì, se pensiamo che ha rimediato a una situazione di iniquità. No, se riflettiamo che, indipendentemente dal caso in questione, le decisioni di un organo di rango costituzionale composto da 27 autorevolissimi membri, e presieduto dal Capo dello Stato, possono essere annullate da un semplice collegio giudicante. Il che provoca non solo una confusione di attribuzioni e un rallentamento dell’attività di alta amministrazione, ma anche vuoti di funzioni essenziali come quella del capo della Procura di Roma. La quale peraltro, dopo tangentopoli, ha ceduto lo scettro della supremazia a quella di Milano, dove tra poco si creerà una situazione analoga per l’imminente pensionamento del suo reggitore. 

Noi quindi facciamo i migliori auguri alla ministra Cartabia per la sollecita riforma del processo civile, dalla quale dipendono gli investimenti, la ripresa economica e soprattutto gli aiuti dell’Europa. Abbiamo già scritto, e ripetiamo, che questa è l’urgenza primaria. Ma nel frattempo la esortiamo rispettosamente a considerare lo sfacelo complessivo della nostra Giustizia, che Hegel definirebbe una vuota astrazione metafisica, e che più volgarmente molti chiamano ormai una lotteria. 

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