Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Interessi diversi/Il Patto, le liti e il rischio per la tenuta dell’Europa

di Angelo De Mattia
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Mercoledì 6 Dicembre 2023, 23:35 - Ultimo aggiornamento: 9 Dicembre, 00:25

Se a Bruxelles l’intesa sulla riforma del Patto di stabilità non dovesse essere raggiunta entro questo mese e rivivesse il vecchio Patto ora sospeso, sarebbe una caduta di immagine e di credibilità innanzitutto per l’Unione. Come potrebbero essere affidabili, per esempio, un impegno per una difesa comune e anche per una seria politica integrata delle migrazioni, per non dire dell’istituzione di un bilancio europeo, del Ministro unico delle finanze, di una politica economica europea e di una serie di altri processi di integrazione, se la prova data per una regola certamente fondamentale della governance economica, ma di portata non superiore ai progetti anzidetti non fosse superata?

Si dirà che influisce in senso negativo la prospettiva delle elezioni europee e che, in primo piano, sta una posizione tedesca che intende recuperare in rigorismo dopo che la Corte costituzionale ha contestato l’allocazione di risorse fuori-bilancio:una decisione più propria di uno stile lassista. Si aggiungerà che i diversi Paesi, in funzione di contropartite, accentuano caratteri distintivi quali quelli sottolineati dai cosiddetti frugali. Concorre anche la competizione per la presidenza della Bei con le tensioni che essa ha provocato. Ma è singolare che si pensi a chi perde e a chi vince con un certo tipo di riforma del Patto o con un altro e non ci si accorge che così rischia di perdere in primis l’Unione nella sua interezza. 


Dovrebbe essere chiaro che, comportando la regola sul voto il diritto di veto, la riforma non può non essere realistica, pragmatica, equilibrata, in modo che non possano esservi vincitori e perdenti, ma soprattutto perché faccia gli interessi dell’area bilanciandoli con quelli dei partner comunitari. Integrazione e valorizzazione del principio di sussidiarietà per i membri dell’Unione. E’ difficile, però, sostenere che sia bilanciata una ipotesi di rivisitazione che, come formulata, sia per il debito, sia per il deficit in rapporto al Pil, implicitamente dia per scontato che alcuni Paesi si troveranno sotto procedura di infrazione; fra questi, l’Italia per il livello del debito. Anche il diritto non ammette vincoli “ultra vires” e sarebbe un contratto nullo, o al più annullabile, quell’atto che presupponesse in partenza l’impossibilità dell’adempimento da parte di uno dei contraenti.

Ciò non significa che si debba cucire un abito su misura dei singoli Paesi, ma si deve prevedere una disciplina che realisticamente spinga al riequilibrio, escludendo la sanzionabilità in un periodo adeguato.

Per un effettivo aggiustamento occorrerebbe prevedere sette anni a fronte di un debito superiore al 90 per cento del Pil e a un disavanzo ( da qualificare nella sua composizione) superiore al 3 per cento. Diversamente, se ciò non si fa, si potrà prevedere con esattezza quando scatteranno le previste sanzioni al nome di “ fiat iustitia et pereat mundus”. Da questo punto di vista, ha un fondamento l’interrogativo sul perché l’Italia dovrebbe approvare una regola che essa stessa sa che non riuscirà ad osservare. Poi, vi è la questione della “golden rule” limitata a investimenti riconducibili alle diverse transizioni (ecologica, energetica, digitale) nonché alla difesa sulle quali vi è un comune impegno politico ed economico europeo: esse, dato il comune impegno, hanno le motivazioni per essere considerate fuori dal Patto di stabilità. Saranno necessari controlli perché gli investimenti siano correttamente riconducibili a queste categorie, ma le ragioni dell’esclusione sono valide.

Si deve sempre ricordare lo spirito di Maastricht e l’equilibrio che si intese raggiungere tra l’autonomia dei singoli Paesi e il ruolo centrale della Comunità : fu la ragione che spinse il Ministro del Tesoro dell’epoca, Guido Carli, a firmare il Trattato. Ma se non si arriverà all’intesa, per i problemi accennati, allora, quanto meno occorrerebbe definire un’intesa sui principi generali che costituirebbe la base per una proroga della sospensione del Patto, pur mettendosi in conto l’intersecarsi con le elezioni e con l’aspettativa di nuovi organi comunitari. Quanto meno una soluzione del genere, o una disciplina transitoria, sarebbero un “paracadute” e non si concluderebbero le riunioni di Bruxelles con un pugno di mosche. Ma si vuole qui sperare, anche se potrebbe essere una “spes contra spem”, che all’accordo si arrivi e si dimostri che si è stati in grado di superare le difficoltà non secondarie con riflessi sul futuro dell’Unione.

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