Giuseppe Vegas
Giuseppe Vegas

I partiti-movimento/ La domanda di governo e la logica del consenso

di Giuseppe Vegas
4 Minuti di Lettura
Domenica 12 Marzo 2023, 00:15

Troppo poco si è dibattuto sulle possibili ragioni all’origine della progressiva disaffezione degli elettori verso la politica, che in concreto si manifesta con la scelta sempre più frequente del non voto. Un motivo è senza dubbio nella trasformazione che ha profondamente modificato la fisionomia dei partiti tra la Prima e la Seconda Repubblica. Consapevoli che la perdita di consenso prima o poi ne avrebbe provocato l’estinzione, per sopravvivere un po’ tutti i partiti hanno cercato una nuova dimensione, assumendo però una forma assai diversa dai soggetti riconosciuti dalla Costituzione. Sono infatti diventati movimenti. Nel linguaggio politico un movimento si differenzia da un partito non solo perché non si occupa di perseguire il bene comune in generale, ma anche per la sua natura di aggregazione occasionale e limitata nel tempo, il suo carattere di maggiore spontaneità e di minore livello di organizzazione.


Questa diversa attitudine comporta una conseguenza assai rilevante. Mentre chi guida un movimento può essere un leader occasionale, pur che abbia una certa attitudine a trascinare le moltitudini, chi si fa carico di un partito deve conoscere con adeguata profondità la realtà sociale ed economica che intende governare e deve circondarsi di persone che lo coadiuvino in modo efficiente e competente in questa difficile opera.


Tuttavia, la differenza tra i due modelli di organizzazione è andata sfumando nei tempi più recenti. A ben vedere, infatti, non solo le compagini nuove entrate nell’agone politico, ma anche vecchi partiti tradizionali si sono andati presentando all’opinione pubblica sempre più come portatori di singole istanze. A volte si sono occupati di specifici interessi riferiti a temi particolari, anche non sempre coerenti tra loro, come il caso ad esempio dei propositi spesso enunciati di abbassare le tasse e contemporaneamente di incrementare la spesa pubblica. Così, salvo qualche sempre più raro richiamo ad ideologie tradizionali, si è andato perseguendo, più che l’interesse collettivo, il soddisfacimento di specifici interessi di categorie ben individuate di elettori, non di rado a danno dei rappresentati da altre compagini politiche. Si tratta di un metodo non proprio raffinato, che ha il solo vantaggio di alleggerire il peso delle scelte e di consentire di semplificare le decisioni che riguardano la vita collettiva. Tuttavia, ha il grave limite di non rispondere adeguatamente alla fondamentale e complessa domanda di governo che proviene delle comunità organizzate.


Non ci possiamo naturalmente nascondere le crescenti difficoltà e la molteplice quantità di problemi che nel tempo hanno caratterizzato le società contemporanee. Ma non si deve neppure ignorare il fatto che molto del malcontento e della disistima nei confronti dei rappresentanti della classe politica in generale, che caratterizza l’attitudine odierna di ampi strati di nostri concittadini, deriva proprio, come non è difficile constatare, dalla loro incapacità di risolvere i problemi generali, mentre concentrano la gran parte della loro attività nella semplice attribuzione di vantaggi ad una delle parti in gioco, con la conseguenza di assumere decisioni spesso divisive.
Sorge a questo punto una domanda, a cui finora si è evitato di fornire una risposta esplicita.

Occorre infatti chiedersi se la causa del malessere, che si esprime plasticamente con la fuga dal voto, dipende dalle crescenti difficoltà di governare il mondo attuale, oppure dal fatto che la classe politica contemporanea risulta incapace di perseguire un disegno organico, mentre preferisce inseguire il consenso immediato, limitando il proprio interessamento, non sempre giustificabile sotto i profili della opportunità e della razionalità, a singoli specifici temi.


Ma se è così, è proprio perché i partiti sono andati gradualmente assumendo la caratteristica di movimento. Malgrado il fatto che siano ben consci della circostanza che i movimenti, per loro natura, non sono attrezzati per governare. Il motivo per cui si è verificato un simile fenomeno è piuttosto evidente. Dipende dal fatto che i partiti non dispongono più di personale adeguatamente preparato. Lo sono certamente i leader, ma sempre di meno i loro seguaci. In parte il fenomeno è figlio del disdoro di cui gode oggi la classe politica, che offre un progetto di vita non più in grado di attrarre né i giovani né coloro che dispongono di adeguata esperienza in altri settori del vivere civile. Tuttavia, il motivo principale va ricercato nella circostanza che gli attuali metodi di selezione dei rappresentanti dei partiti nelle istituzioni e in parlamento premiano preferibilmente la fedeltà o l’apparenza rispetto alla competenza. Qualità che necessita di sacrificio e dedizione. Non a caso, come ci ricorda Aristotele, la politica è la scienza più importante di tutte perché consente di amministrare il bene comune, pertanto «ogni forma politica richiede una corrispondente educazione».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA