Carlo Nordio
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Strategie e partiti/ Il coraggio che serve per fermare il virus

di Carlo Nordio
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Venerdì 31 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 01:43

Spronato dalle pressanti invocazioni dei presidenti regionali, e confortato dal timido avallo del Comitato tecnico-scientifico, il Governo ha varato alcuni provvedimenti sul Covid. Il più importante è quello di aver eliminato la quarantena per i supervaccinati asintomatici entrati «in stretto contatto» con un positivo. 

In effetti era una norma fuorviante e dannosa. Fuorviante, perché generava dei dubbi sulla reale efficacia dei vaccini. Se infatti, anche per chi avesse avuto la terza dose, fosse stata sufficiente una stretta di mano con un contagiato per obbligarlo a una lunga reclusione domiciliare, era logico aspettarsi che tutte le assicurazioni fornite dagli esperti sulla prevenzione vaccinale fossero interpretate come pietose illusioni. 

Ed era dannosa, perché vista la capacità riproduttiva e diffusiva di Omicron si rischiava di paralizzare il Paese sottraendogli milioni di risorse lavorative costrette all’inerzia da uno scrupolo eccessivo. 

In altre parole, se Omicron – come ci viene detto – è per gli immunizzati poco più di un’influenza, rischiavamo di avere un’accresciuta disponibilità di letti ospedalieri con una diminuita presenza del personale. È quanto sta accadendo in Gran Bretagna, dove si sono accorti che molti servizi essenziali sono compromessi dalla decimazione dei loro addetti.
Addetti che magari sono in perfetta salute ma vengono prudentemente tenuti a casa. 

Questa saggia decisione del Consiglio dei ministri è peraltro l’unica di impatto effettivo e concreto. Per il resto si è assistito alla solita frammentazione di ipotesi e di provvedimenti che anche il lettore più avveduto stenta a seguire per la loro complessità e a comprendere per la loro mancanza di coordinazione. 

I rumors dei partiti hanno insinuato che queste risoluzioni avessero poco a che vedere con l’epidemia e molto con la strategia per l’elezione al Quirinale. Poiché ci rifiutiamo di pensare che la politica subordini la gestione di questa tragedia a meschini vantaggi elettorali, crediamo che la confusione attuale dipenda da due circostanze: il largo margine di incertezza che ancora avvolge il virus con le sue varianti, e un sostanziale difetto di coraggio. Sul primo aspetto c’è poco da fare. Le certezze acquisite sono inferiori a quelle da raggiungere, e l’unica sicura, perché ce lo dicono i numeri, è che i vaccini funzionano bene: non eviteranno del tutto i contagi, ma riducono in modo sensibile la sintomatologia, e in modo ancor più radicale l’ospedalizzazione e i decessi. Una ragione sufficiente per considerare il vaccino come l’unica arma indispensabile ad affrontare questo flagello. 

Sul secondo aspetto grava innanzitutto un difetto di informazione e di omogeneità. Sui numeri dell’infezione, e delle varianti virali, non c’è infatti sufficiente chiarezza.

La quantità dei positivi dipende dai prelievi, ma sul criterio di questi ultimi regna la casualità. Se, ad esempio, vogliamo conoscere cosa pensino i cittadini sull’eutanasia o sullo statuto dei lavoratori non possiamo interpellare solo i devoti all’uscita della Messa domenicale o gli operai all’entrata in una fabbrica. 

Per i tamponi è la stessa cosa. Se li facciamo tra i No vax il numero dei positivi sarà elevato, se invece li facciamo tra chi ha ricevuto anche la terza dose, e indossa sempre la mascherina, sembrerà che l’epidemia stia scomparendo. Ebbene, l’impressione che abbiamo è che in Italia ognuno vada per conto suo. 

Il Veneto, come ha detto efficacemente il governatore Zaia, i positivi va a cercarseli, e quindi è ovvio che la loro percentuale sia alta. In altre zone si indugia, e le percentuali si abbassano. A questo punto dovrebbe essere il governo a fare un censimento generale, con gli stessi criteri delle proiezioni elettorali, scegliendo campioni rappresentativi. Avremmo finalmente, con buona approssimazione, una mappatura idonea a conoscere la reale diffusione della pandemia. 

Ma il difetto maggiore è stato quello di consentire che uno sterminato esercito di interlocutori, dai virologi agli anestesisti, dagli opinionisti agli attori, manifestassero opinioni diverse e talvolta opposte in un vociferante fracasso mediatico. E tutto questo senza che il governo, attraverso il suo ministro deputato, si esprimesse in maniera chiara e distinta sui diritti e i doveri dei cittadini. Diritti che, come è noto, devono essere tra loro coordinati affinché la libertà degli uni non comprometta la salute degli altri. E chiunque legga il lungo e tortuoso catalogo di requisiti e di condizioni stabilito dal Cdm di mercoledì sera si domanderà perplesso, ammesso che riesca a coglierne il senso, se non si sia trattato di un compromesso ingarbugliato e inapplicabile, dovuto proprio a una mancanza di coraggio. Perché a quel punto sarebbe stato assai più logico imporre un generale obbligo di vaccinazione, o almeno un lockdown rigoroso per i non vaccinati, consentendo così alla stragrande maggioranza degli italiani immunizzati di condurre una vita quasi normale, con l’unico rischio di prendersi un virus che, sempre secondo gli esperti, produrrebbe nei loro confronti effetti trascurabili. 

Forse è solo questione di tempo, perché il governo ha lasciato intendere che nei prossimi giorni ci sarà una stretta ulteriore e forse definitiva. Ma questa escalation “à petits paquets” ci ricorda l’infausta strategia del Vietnam, dove i rinforzi arrivavano sempre in ritardo, quando erano già insufficienti. E abbiamo visto come è andata a finire.
 

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