Paolo Pombeni
​Paolo Pombeni

Europa al bivio/ La sintonia in politica che manca a Bruxelles

di ​Paolo Pombeni
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Giovedì 15 Febbraio 2024, 00:19

Uno sprazzo di normalità nel clima esasperato che domina questa eterna vigilia di scontri elettorali. Il fatto che la premier e la segretaria del principale partito di opposizione si siano confrontate ed abbiano trovato un’intesa per evitare muri sulle mozioni che riguardano la delicatissima situazione mediorientale può essere il segnale di una maturazione dello scontro politico.  Non andrà in soffitta, ma si conviene che su temi cruciali come la politica estera un Paese deve trovare una base comune per i propri atteggiamenti.


Piuttosto che speculare sui limiti e i retropensieri di questa svolta, piccola o grande si vedrà col tempo, conviene puntare l’attenzione sulla situazione che l’ha determinata. Ci sarebbe da riflettere sul peso che hanno le persone che circondano i leader: non va sottovalutato l’apporto del ministro Tajani e degli staff della Farnesina, né, probabilmente, quel che pensano personaggi come Prodi, Gentiloni e altri.  Tutti avranno spinto le leader a riflettere su cosa potrà succedere nel caso vinca Trump alle presidenziali americane con la sua minaccia di lasciare sola l’Europa a confrontarsi con le tensioni che muovono l’attuale ondata neo imperialistica che scuote il mondo. Lo diciamo senza per questo sottovalutare le sensibilità e le intelligenze delle due leader che certo avranno condiviso attivamente e responsabilmente i percorsi di quelle riflessioni. Il nucleo è che la Ue deve organizzarsi a sostenere una vera politica estera comune, il che implica necessariamente anche una comune politica di difesa. 


Di fronte all’aggravarsi del panorama internazionale non dovrebbe più essere tempo di rinfacciarsi slogan e di fare ricorso alle usurate pseudo ideologie del teatrino politico dei decenni passati. L’Europa conta poco come attore nella crisi mediorientale e non si riscatta certo perché qualche singolo capo di Stato prova a ritagliarsi qualche spazio. In uno scontro di potenze come quello che si sta delineando o l’Europa riesce ad agire come soggetto federato o finirà stritolata dall’avanzare dei conflitti. È banale dire che ciò richiede che si ritrovi, o più semplicemente che si trovi una unità di prospettive di analisi, ma anche di azioni se non proprio far tutti i 27 soci del club Ue, almeno fra i principali e più significativi.  Sviluppare questi passi avanti significa superare le sedimentate diffidenze fra loro, le illusioni di ciascuno di poter fare da solo o al limite di muoversi come riconosciuto regista di altri attori che vengono collocati su un livello minore. È una sorta di rivoluzione culturale quella che è necessario promuovere nelle dinamiche dell’Unione Europea.


Per questo quanto sta avvenendo in Italia può avere un significato e un messaggio per tutti.

Infatti non è banale che su un tema così dibattuto e così travolto da passioni quasi storiche indotte da semplificazioni irresponsabili la leader della destra e quella della sinistra si siano impegnate ad uscire dalle consuete acque stagnanti che impedivano qualsiasi reciproco riconoscimento. I pessimisti possono avvertirci al solito che una rondine non fa primavera, gli ottimisti entusiasti che siamo davanti ad un primo passo che allargherà il dialogo e il confronto a nuove materie in discussione. Noi, più modestamente, stiamo ai fatti attuali che ci dicono come proprio un tema come la politica estera che usualmente veniva utilizzato come terreno per sfoggiare retoriche pseudo ideologiche diventi ora una occasione per l’esercizio di un realismo politico in cui prevalgono le considerazioni sull’interesse generale tanto del nostro Paese quanto di quella Ue di cui siamo membri fondatori.


Rendere operativo a livello di parlamento europeo, di Commissione e di Consiglio Europeo questo modo di agire non sarà impresa facile, ma se continuiamo sulla linea che sembra aprirsi con il confronto/intesa fra Meloni e Schlein l’Italia nel suo complesso potrà giocare un ruolo importante: il governo nel Consiglio, i partiti nel futuro parlamento europeo e, con una sperabile ulteriore intesa nell’indicazione di un nostro Commissario, nella Commissione con un ruolo importante. Non è troppo ottimistico ritenere che almeno nei Paesi chiave della Ue ci si rende conto della posta in gioco. Anche se Trump non vincesse la corsa per la presidenza Usa il successo delle sue tesi isolazioniste è in termini di consenso più che ampio, e in qualche misura il vincitore alternativo ne dovrebbe tenere conto. Del resto, comunque vada, di un’Europa divisa e incapace di una vera politica comune, inclusa, lo ripetiamo, quella di difesa, nessuno al di là dell’Atlantico saprebbe cosa farsene. Pensare che ciò possa essere senza conseguenze è più che ingenuo, è suicida.


Dunque per una volta l’opinione pubblica italiana dovrà provare a sostenere quanto a livello delle forze politiche si è fatto con una fatica che sarebbe meschino negare: alla fine sembra che la maggior parte delle forze politiche significative si sia piegata, convintamente o consapevole del rischio che si sarebbe corso spaccando le intese, ad una visione della politica estera come terreno per esercitare realismo di azione politica e non utopismo a buon mercato o speculazioni a fare i primi della classe. Come diceva quello: scusate se è poco.

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